Pubblicato il 23 Settembre 2018 | da Valerio Caprara
0Una storia senza nome
Sommario: Prendendo spunto dal misterioso furto di un capolavoro di Caravaggio -mai più recuperato dagli investigatori- avvenuto a Palermo nel 1969, Andò si diverte a inventare i troppi fili di un ordito che resta sino alla fine ingarbugliato tra commedia grottesca e noir complottistico.
1.8
Una full immersion nei misteri di Palermo che trasforma il colto e cinefilo Roberto Andò in seguace dei feuilleton di Eugène Sue. Le premesse c’erano tutte per conquistare il pubblico con un rompicapo giallo irrorato abbondantemente d’ironia, però, purtroppo, “Una storia senza nome” fa pensare all’incidente che capita talvolta alla salsa maionese: se la quantità d’olio è eccessiva, infatti, l’emulsione con l’aceto o il limone impazzisce perché le molecole grasse sono troppo numerose per distribuirsi uniformemente tra quelle acquose. Rutilante, affollata, vorticosa, zeppa di carambole con la politica ovviamente deviata, la cronaca nera, la storia dell’arte e i film amati, la sceneggiatura congegnata dal regista con Angelo Pasquini e Giacomo Bendotti finisce, infatti, per non supportare a sufficienza il notevole impegno messo in campo in termini di stili di ripresa, fotografia, scenografia, musica e recitazioni. L’eclettismo dell’autore di “Il manoscritto del principe” e “Viva la libertà” resta, naturalmente, una dote da preservare nel panorama blindato dell’offerta cinematografica nostrana, ma stavolta la disfunzione di partenza rende “Una storia senza nome” un divertissement in cui non tanto la plausibilità dei fatti (che pure avrebbe un suo peso), quanto la tensione narrativa oscillano “tra il grottesco e il noir” oppure “tra la commedia e il thriller”, antinomie sottolineate in positivo dalla promozione del film, ma poi in concreto rimaste eterogenee.
Rievocando con un occhio alle panzane dei pentiti il caso del furto nel 1969 dall’oratorio di San Lorenzo a Palermo della “Natività” del Caravaggio, Andò dapprima si concentra sul cialtroncello Pes (Gassmann in un ruolo simil-paterno) che da anni fa passare per sue le sceneggiature fornitegli a pagamento dalla segretaria Valeria (Ramazzotti). Quando però Pes l’incalza perché ha bisogno di un nuovo copione da consegnare al proprio impaziente produttore, la timida ghost writer viene contattata dal vecchio ex agente segreto Rak (Carpentieri) che le fornisce uno spunto investigativo da elaborare sotto traccia in un seguito di colpi di scena, depistaggi, doppie versioni/visioni e deplorevoli intese stato-mafia (una spruzzata di Travaglio può aiutare). Ispirato non solo al pertinente Sciascia di “Una storia semplice”, ma anche al Rosi di “Cadaveri eccellenti” il film diverte a sprazzi, arranca, s’ingarbuglia, s’affastella e rende un po’ di maniera le prestazioni della Ramazzotti trasformista e di Carpentieri complottista rischiando invece d’assomigliare al “Codice Da Vinci”. Un effetto per noi poco lusinghiero che potrebbe, però, gratificare la produzione con un buon riscontro al botteghino.
UNA STORIA SENZA NOME
GIALLO, ITALIA 2018
Regia di Roberto Andò. Con: Micaela Ramazzotti, Alessandro Gassmann, Laura Morante, Renato Carpentieri, Jerzy Skolimowsky