Recensioni

Pubblicato il 8 Maggio 2020 | da Valerio Caprara

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Tris tricolore Favolacce/Tornare/Buio

 

E’ normale che i cineasti non abbiano previsto l’attuale situazione, ma non si può fare a meno di notare che la comparsa nel magma delle piattaforme tv a pagamento di nuovi titoli italiani potrebbe contribuire ad assestare altre randellate al morale già barcollante dei connazionali. Constatazione semplicistica eppure inoppugnabile che emerge dalla quasi contemporanea messa in rete di film molto attesi vuoi perché iscritti alla categoria dei film d’autore, vuoi perché forniti di credenziali festivaliere. Da lunedì 11, per esempio, telecomandi puntati su “Favolacce”, l’opera seconda dei gemelli classe 1988 D’Innocenzo vincitrice a Berlino dell’Orso d’argento alla sceneggiatura che ha incrementato i già consistenti elogi ricevuti da “La terra dell’abbastanza”. Immergersi nelle immagini spigolose ed elusive di questa matrioska narrativa al nero non è un esercizio indolore perché il confronto/scontro tra adulti e adolescenti che vi funziona da collante esula dal consueto schema periferie urbane uguale degrado criminale non per tranquillizzare lo spettatore/voyeur, bensì per fargli percepire pressoché fisicamente un senso di alienazione, solitudine e malessere molto più pervasivo e disturbante. Con lo sguardo rivolto agli hit di Garrone, con cui non a caso i D’Innocenzo hanno collaborato per “Dogman”, la landa romana di misero benessere e di villette a schiera che va da Spinaceto a Casal Bruciato si rivela -nell’andamento svariante e sincopato del finto diario citato nel prologo dalla voce off del narratore- come un segmento scoraggiante e deprimente della natura umana in cui, amaro paradosso, il “distanziamento sociale” è tacitamente in auge da sempre; siccome, inoltre, il film vive di contrasti appare del tutto adeguato il taglio registico che accosta ai momenti più crudi delle situazioni e dei dialoghi uno stile impreziosito da soluzioni ricercate di fotografia, scenografie e montaggio. Nel quadro di ostentata negatività di famiglie disfunzionali, donne emotivamente dissanguate e maschi psicotici sempre sul punto di liquefarsi nell’anonimato microborghese, secondo alcuni critici -fuorviati anche da certe dichiarazioni pretenziose ed effettistiche dei sin troppo promozionati neoautori- andrebbe individuata l’ecografia di un paese, il nostro, diventato (da quando e perché non si dice mai chiaramente) arido, nevrastenico, lacerato, esplosivo, addirittura bestiale. Un’ipotesi vagamente politicizzata che secondo noi va accantonata, non fosse altro perché penalizzerebbe l’originalità dei registi orientata, semmai, a tramandare un personale “cunto de li cunti” popolato da personaggi scorticati dalla propria mediocrità e dall’allarmata percezione del crollo dei ripari familiari piuttosto che da maschere sottoproletarie, grottesche e subumane alla “Brutti, sporchi e cattivi” di Scola.

La regista-scrittrice Cristina Comencini si è fidata, invece, troppo della sceneggiatura scritta con la figlia Giulia Calenda e Ilaria Macchi nel misurarsi con “Tornare” (dal 4 maggio in rete), un thriller dell’anima (la definizione è sua) incentrato sul ritorno a Napoli negli anni 90, in occasione del funerale dell’anziano padre, di una donna adulta e in carriera e sulla connessa riemersione del fattaccio occultato dal perbenismo patriarcale che ferì a morte la sua sbarazzina disinibizione giovanile. Ambientato nei labirinti di una villa di Posillipo, la grotta di Seiano e la ex Nato di Bagnoli e pertanto ricco d’inquadrature sfavillanti che ricordano certi sprazzi impressionistici del primo La Capria, il percorso di Alice (capita l’antifona?) nel paese dei ricordi scomodi, degli incontri ambigui e dei traumi rimossi risulta gravato da simbolismi e chiavi psicanalitiche elementari che finiscono col conferire a tutto il film un sentore programmatico e artefatto. Tanto più che la protagonista Mezzogiorno, nient’affatto valorizzata da inquadrature e fotografia, accentua oltremisura le pose dell’umiliata e offesa alle prese con la duplice presenza reincarnata di se stessa bambina e ragazzina. Dispiace che una professionista sperimentata come la Comencini abbia sottovalutato il pericolo che si cela dietro ogni ricorso agli ingranaggi della memoria, come sempre quello di scivolare dalla pretesa artistica al surplace autoreferenziale. Avendo il fegato d’inocularsi una dose omeopatica di storie in linea con la campagna #iorestoacasa si può infine scegliere “Buio” (in rete dal 7) dell’esordiente Emanuela Rossi che ha vinto un premio della sezione Alice nella Città del CityFest di Roma 2019. Un tipico racconto post apocalittico incentrato su tre sorelle (tra cui spicca quella più ardita, interpretata dall’ottima Tantucci) costrette a vivere in una sorta di eterna quarantena, sbarrate in casa e al buio perché un’apocalisse solare ha decimato il genere umano e solo un minaccioso padre-padrone, munito di maschera antigas e tuta termica, esce ogni giorno per procacciare notizie e cibo. La buona notizia, oltre al fatto che l’apologo riesce a tenersi in equilibrio –al di là dell’invadente messaggino femminista e della prevedibilità di base- tra il thriller, la fantascienza e l’horror un po’ sui modelli del maestro Shyamalan, è soprattutto quella generosamente concessa nel finale dai protagonisti ovvero la speranza che sia sempre possibile ripartire e riappropriarsi dei propri desideri, della bellezza del creato e della rimpianta (ma non ditelo ai D’Innocenzo) convivenza societaria.

FAVOLACCE

DRAMMATICO – ITALIA 2020 ***

Regia di Fabio e Damiano D’Innocenzo. Con Elio Germano, Barbara Chichiarelli, Lino Musella, Gabriel Montesi, Max Malatesta, Tommaso di Cola

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TORNARE

DRAMMATICO – ITALIA 2020 *

Regia di Cristina Comencini. Con Giovanna Mezzogiorno, Vincenzo Amato, Beatrice Grannò, Clelia Rossi Marcelli, Astrid Meloni, Barbara Ronchi

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BUIO

FANTA-THRILLER – ITALIA 2020 **

Regia di Emanuela Rossi. Con Denise Tantucci, Valerio Binasco, Gaia Bocci, Olimpia Tosatto, Elettra Mallaby, Francesco Genovese

                 

 

 

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