Pubblicato il 17 Febbraio 2016 | da Valerio Caprara
6The Danish Girl
Sommario: La sacrosanta riflessione sulla necessità di dovere rispettare in qualsiasi modalità e circostanza la propria natura rischia d’assottigliarsi nel più scontato dei messaggi.
1.3
Il londinese Tom Hooper è un regista abile e smaliziato che punta dritto al botteghino; niente da obiettare se non fosse che i suoi film (“Il discorso del re”, “Les Misérables”) sembrano destinati d’ufficio ai massimi allori di categoria. Nel caso di “The Danish Girl”, per il buon peso, la sceneggiatura di Lucinda Coxon –benché ambientata nel passato- sembra fatta apposta per agganciare certe tematiche odierne di cui si chiacchiera molto e approfondisce poco e cioè gli sfasamenti dell’identità sessuale e i traumi individuali e collettivi da essi provocati. Ci ritroviamo, infatti, nella Copenaghen del 1926 quando il film inizia a volteggiare sulle tenere intese amorose tra il pittore Einar Wegener, illustre paesaggista e sua moglie Gerda, illustre ritrattista… Ovviamente illustre è anche lo stile di regia, una serie di andirivieni in costume d’epoca, un album di flash fotografici, una morbida, sapiente alternanza d’interni e primi piani, insomma una madornale dimostrazione di cinema decorativo alias convenzionale. Sulla scorta del romanzo-verità “La danese” di David Ebershoff (ediz. italiana Guanda), un bello e/o brutto giorno Gerda chiede al marito d’indossare abiti femminili e posare per lei certo non immaginando di stare imprimendo la spinta decisiva per la sua lenta quanto inesorabile trasmutazione in Lili Elbe.
L’atmosfera inquietante e ambigua della prima parte del film regge a sufficienza, ma i nodi vengono al pettine quando le situazioni complicate e dolorose, estese nel trasferimento parigino, dovrebbero amalgamarsi nel clou drammaturgico dell’accettazione progressiva di Gerda di un amore tanto grande da potere rinunciare al sesso e riversarsi con pari intensità nel rapporto di complicità e condivisione con una così particolare amica. “The Danish Girl”, ovviamente, è tutto imperniato sulle gimkane fisiche e psicologiche intraprese coraggiosamente dal già oscarizzato Redmayne e dalla svedese Vikander (l’attrice del giorno con cinque film in uscita più una nomination nell’imminente edizione proprio grazie a questo film); però se quest’ultima è in grado di comporre le svarianti tonalità del ruolo, l’attore di “La teoria del tutto” esibisce un’eccessiva maniera virtuosistica nella riproduzione delle espressioni e dei gesti del “primo transgender della storia”. Il melò, insomma, che all’inizio è stato servito sul piatto d’argento dei cine-menu di lusso per sua maestà il pubblico grande, scivola a poco a poco nei dettagli grondanti indignazione e patimenti facendo in modo che la sacrosanta riflessione sulla necessità di dovere rispettare in qualsiasi modalità e circostanza la propria natura rischia d’assottigliarsi nel più scontato dei messaggi.
THE DANISH GIRL
REGIA: EDDIE REDMAYNE, ALICIA VIKANDER, AMBER HEARD, MATTHIAS SCHOENAERTS
DRAMMATICO – USA/GRAN BRETAGNA 2015