Pubblicato il 3 Dicembre 2016 | da Valerio Caprara
0SULLY
Sommario: La vera impresa del pilota Sully, che riuscì a salvare equipaggio e passeggeri del suo aereo in avaria con un drammatico ammaraggio sullo Hudson, viene svilita con pari rozzezza dall'ottusa burocrazia e dall'enfasi mediatica.
4.5
Sconsigliato solo a chi ha paura di volare, “Sully” è un film per tutti, ma non nel banale senso promozionale bensì in quello dell’opera che risponde ai criteri fondativi del cinema. Il vecchio Clint, infatti, il cowboy di Leone trasformatosi negli anni in un’icona americana che assomiglia a uno dei profili dei padri della patria scolpiti nella roccia del Mont Rushmore, ha diretto ancora un titolo in cui la coesione della messinscena, l’essenzialità della tecnica e la sicurezza del ritmo trascendono i valori, i dettagli cronachistici e gli addentellati politici dell’assunto. La trama fa credere in partenza di puntare al risultato facile: con l’armonia di ripresa che rende tanto l’azione quanto i momenti statici di una fluidità unica, Eastwood prende le mosse, infatti, dal clamoroso evento del 15 gennaio del 2009, quando il volo di linea Airways 1549 affidato alle esperte mani del capitano Chesley “Sully” Sullenberger fu costretto dopo pochi minuti dal decollo a tentare un ammaraggio d’emergenza sulle acque newyorkesi dello Hudson in seguito all’avaria di entrambi i motori. Senza aggiungere molti particolari, basta anticipare al futuro spettatore che si trattò di una decisione non ortodossa, peraltro foriera, nonostante l’esito salvifico, di un’estenuante coda giudiziaria e mediatica consistente in una specie di tortura ai danni del protagonista: classico uomo comune eastwoodiano proiettato da circostanze straordinarie nel clou di un evento spaventoso, Sully non pensa neppure per un attimo di dovere rivendicare un exploit, ma si trova nella scomoda situazione di dovere respingere contemporaneamente le contestazioni burocratiche e assicurative e l’apoteosi popolare che, con qualche giusta ragione, vuole innalzarlo sul piedistallo degli eroi.
Dando per scontata l’impeccabile immedesimazione di Tom Hanks, la prima istruzione per l’uso è quella di azzerare il timore per gli eventuali eccessi di retorica -di cui è vero che si macchino certi blockbuster di routine- mentre la seconda è quella di disperdere l’eco delle recensioni che hanno tirato in ballo a vanvera la presunta esaltazione del coraggio a stelle e strisce, magari shakerata in salsa trumpiana. Stiamo parlando, in effetti, di un film eccellente per ragioni opposte visto che Sully, nel corso del processo che occupa gran parte del film, non vuole affatto promuovere il proprio eroismo, ma solo… mantenere il posto di lavoro dimostrando agli inquirenti che non c’era un’altra soluzione plausibile (nonostante le successive e asettiche analisi al computer sostengano il contrario). Conferendo pari intensità al taglio drammaturgico che sostiene con azione e dialoghi, il film riesce a scandagliare negli sguardi, i silenzi e la renitenza alle lodi e alle accuse la profonda personalità di uno sperimentato professionista che si ritrova via via sempre più spaesato e scettico rispetto a ciò che il film stesso sembra avere predisposto come inevitabile “messaggio”. Al di là degli aggettivi laudatori di prammatica, è proprio in questa operazione nient’affatto secondaria che risiede lo strategico understatement di Eastwood: ai suoi protagonisti, ancorché disillusi, non passa neppure per la testa di svilire un’impresa clamorosa; ma intanto l’amarezza del cittadino/spettatore viene convogliata sul destino riservato a coloro che cercano solo di fare il proprio dovere tenendo la schiena dritta e si ritrovano circonfusi da un’epica trionfale puramente consumistica.
SULLY
Regia: Clint Eastwood
Con: Tom Hanks, Laura Linney, Aaron Eckart
Drammatico – Usa 2016