Recensioni

Pubblicato il 13 Dicembre 2017 | da Valerio Caprara

2

Star Wars: gli ultimi Jedi

Star Wars: gli ultimi Jedi Valerio Caprara
soggetto e sceneggiatura
regia
interpretazioni
emozioni

Sommario:

3.5


La Forza non s’era risvegliata nel settimo e omonimo capitolo della saga di “Star Wars”, ma eccola riemergere più pervasiva e trascinante che mai nell’ottavo, “Gli ultimi Jedi”, scritto e diretto da Rian Johnson ma ispirato dal sapiente disegno del rinnovatore J. J. Abrams. Il secondo film della terza trilogia, com’è noto diventata proprietà dei Disney Studios dopo che il demiurgo George Lucas sazio di fama e dollari gli ha venduto la sua ineguagliabile creazione, vi ripropone, infatti, al livello di tsunami mentale ed emotivo le qualità che si sono insediate nell’immaginario collettivo di milioni di persone. E’ chiaro che stiamo segnalando una riuscita eccezionale, perché non tutti i singoli episodi sono stati secondo il nostro punto di vista analitico e critico in grado di alimentare ex novo il culto: sta di fatto che questo blockbuster, apparentemente murato nella sua struttura iperindustriale, ha riacquistato di colpo la capacità originaria di farci percepire le avventure interstellari come parte integrante di un vissuto globalizzato. Che dietro l’inesausto confronto tra il Bene e il Male, l’ordine e il disordine, la contrapposta esigenza della libertà collettiva e di quella individuale si delinei uno schema filosofico è, in effetti, un concetto ormai acclarato (se ne facciano una ragione anche gli aprioristici nemici della fantasy spettacolare); ma “Gli ultimi Jedi” riesce dove più di una puntata ha fallito e cioè a rendere fluido, avvincente, epico alla maniera classica un limpido percorso di autocoscienza non adatto unicamente ai guardiani del mito, ma credibile anche per le iper-connesse eppure disorientate, incollerite e spesso ingestibili nuove generazioni mondiali.

Con un po’ di praticità diciamo subito che per noi uno dei pregi del film è la chiarezza con la quale sono sviluppati i fatti che durano ben 152 minuti, ma non provocano noia: nonostante l’abbondanza delle diramazioni delle linee narrative e dei colpi di scena non si rischia continuamente di perdere il filo, come capitò peraltro allo stesso Lucas nella seconda trilogia gravata non a caso dal surplus di superflui effetti speciali. Dalla prima sequenza all’ultima, insomma, la quintessenza del franchising è conservata per potere spingere, però, al di là di qualche pigrizia stereotipata, le inevitabili quote di politicamente corretto (neri e gialli uniti nella lotta della Resistenza contro tiranni bianchi e sfigurati) e l’azzardo della dissacrazione di alcune icone venerate dai più tosti tra i fan, la trama verso esiti non del tutto imprevedibili, ma nello stesso tempo singolarmente solenni: persino gli eroi non vivono per sempre e persino il potere nietzschiano dei cavalieri Jedi rischia di non potere cambiare il destino della fragilità umana. Le gag, mirate a conquistare i giovanissimi non mancano e, più che nelle performance degli animali fiabescamente deformati, toccano il vertice del relax in quella del furfantesco DJ interpretato dall’autoironico Benicio del Toro. Il leitmotiv affabulatorio principale della fine che si tramuta in nuovo inizio vibra, invece, con grande intensità quando Luke Skywalker –reinterpretato dall’ormai sessantaseienne e incanutito Mark Hamill, un po’ come se fosse la versione galattica dell’archetipo americano dell’ultimo dei Mohicani-, strappato all’esilio delle cime tempestose del gotico pianeta Ahch-To, ritorna in campo nella scena strappa-applausi della sfida mortale contro il giovane nevrastenico neoleader del Lato Oscuro Kylo Ren (adepto del maestro Snoke, interpretato alla maniera di un cadavere vivente dall’uomo di plastilina Andy Serkis), ma viene in extremis supportato dalla sua non del tutto inaspettata erede. L’ostinazione giovanilistica e l’aspetto coerentemente antidivistico della predestinata Rey (Daisy Ridley) possono, così, ergersi sopra le pure formidabili scene di battaglia scandite dal ruggito wagneriano della musica dell’immortale John Williams e fondersi nell’indomita figura dell’amatissima ex principessa e ora generalessa Leia, a cui Carrie Fisher scomparsa a sessant’anni poco dopo le riprese conferisce uno sguardo come non mai accorato.

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