Editoriali

Pubblicato il 22 Marzo 2024 | da Valerio Caprara

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Prima degli Oscar: fu vera gloria?

Finalmente nell’imminente notte degli Oscar il pubblico italiano potrà fare il tifo con qualche cognizione di causa. Non solo, però, perché uno dei cinque titoli in lizza per il miglior film straniero è “Io capitano”, ma anche perché gli altri concorrenti non sono noti come sempre solo agli addetti autorizzati. Alla favola realistica di Garrone, che infervora senza aggrapparsi alle ideologie e i partiti presi il sogno della giovane Africa d’integrarsi nella way of life europea, si contrappongono infatti  “La zona d’interesse”, raffigurazione d’agghiacciante qualità simbolica del trantran quotidiano dei carnefici dei lager; l’imperdibile thrilling scolastico “La sala professori” in cui le contraddizioni della società multietnica implodono a dispetto delle regole democratiche e le buone intenzioni progressiste; un film di buona routine avventurosa come “La società della neve”, terza versione cinematografica dell’odissea dei sopravvissuti del famoso disastro aereo delle Ande del 1972 e, last but not least, “Perfect Days” in cui il venerato maestro Wenders s’impegna a pedinare con un taglio, un ritmo e una filosofia che possono suscitare a pari merito estasi zen e tedio occidentale i meticolosi e monocordi percorsi di un addetto alle pulizie dei wc pubblici di Tokyo.

Proprio quest’ultimo film, coprodotto da Giappone e Germania, ci permette di tornare al trend sorprendente e interessante rilevato a casa nostra dove, anche se al momento i numeri non sono più squillanti, il bollettino degli incassi ha messo in luce un fenomeno su cui vale la pena soffermarsi: risulta da qualche tempo in crisi l’incontrastata egemonia del kolossal d’azione e d’evasione, mentre nel contempo riescono a competere o addirittura primeggiare un pugno di titoli che nel passato avrebbero trovato consenso e lodi solo nei circuiti per adepti tesserati. “Il dibattito sì!” è, insomma, lo slogan che sembra farsi strada negli umori del minimo comun spettatore deciso a schiodarsi dal divano davanti alla tv e a dare retta ai critici i quali, peraltro, sono sempre stati e tanto più lo sono adesso strenui promotori “a prescindere” dei film di nicchia, meglio se estrema. Anche senza correggerli secondo il tasso d’inflazione sembrano appartenere a un’altra era i raid trionfali dei cinepanettoni -con lo sboccato “Natale sul Nilo” arrivato nel 2002 a 28 milioni e 300mila euro- o quelli dei film di Zalone che tra il 2013 e il 2020 si erano abituati a portare in cassaforte da un minimo di oltre 46 a un massimo di oltre 65 milioni di euro. Oggi, se è vero che due blockbuster hollywoodiani come “Barbie” e “Oppenheimer” e la pubblicità-progresso in forma di parabola femminista  incarnata da “C’è ancora domani” sono stati i film che hanno riattizzato lo spento fuoco delle sale, abbiamo visto in rapida sequenza fuoriuscire dalle trincee cinefile e scatenarsi nell’infinito chiacchiericcio social una proletaria love story di amanti attoniti e ammutoliti (“Foglie al vento”), un affascinante ma a tratti esoterico e incomprensibile lungometraggio d’animazione come “Il ragazzo e l’airone” dell’ottuagenario Miyazaki, l’exploit di “Povere creature!” zeppo di prodezze sessuali dell’insaziabile Emma Stone furbescamente riscattate dalla rivendicazione della parità di genere e persino lo spossante e irrealizzabile ménage à trois coreano-americano di “Past Lives” che per conto suo è anche nominato all’Oscar principale. Un’apoteosi d’arte e d’essai che nel caso dello stropicciato film finlandese si permette addirittura di strizzare l’occhio al nuovo fruitore (forse) consapevole grazie alla sequenza in cui i protagonisti, usciti dal cinema dove hanno visto niente di meno che uno zombie-movie di Jarmush, incrociano altri habitué di cineclub intenti a domandarsi se ci abbiano trovato reminiscenze di Bresson o di Godard. Qualcuno, certo, del truppone assistito dai contributi pubblici e la benevolenza dei circoli autoriali non ce la fa -come nel caso di “Quando” del veterano Veltroni o “Te l’avevo detto” della novizia Elkann- ma per adesso simili sortite non rischiano l’automatico confino nel deposito dei fatidici zimbelli fantozziani. In fondo ci potremmo pure stare, se non ci ronzasse in testa un dubbio non poco imbarazzante: è cresciuto il pubblico pagante o sono i grandi film che latitano e lasciano il passo al midcult intellettuale?    

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