Pubblicato il 28 Febbraio 2016 | da Valerio Caprara
1Piccoli Oscar passano …
Prendere di petto gli Oscar è un esercizio assai donchisciottesco. Dietro la sfavillante e piacevole vetrina, infatti, si muove da sempre una macchina talmente mastodontica e connessa alle logiche interne della prima industria cinematografica del mondo da rendere se non insignificanti, superflui gli eventuali tackle spericolati della critica. Dunque gli ultimi verdetti non tolgono e non aggiungono nulla alla leggenda che celebra se stessa in nome e per conto del gusto medio e gli umori estemporanei delle corporazioni hollywoodiane.
Non stupisce, in questo senso, il trionfo di “Il caso Spotlight” (le nefandezze della Chiesa cattolica) come non stupirono a suo tempo quelli di “Voglia di tenerezza” (il flagello del cancro), “A spasso con Daisy” (i fardelli della senilità) o “12 anni schiavo” (le stimmate dello schiavismo): la nobiltà dei contenuti, si sa, spinge spesso fuori campo gli exploit del linguaggio… Che poi il superclassico Spielberg di “Il ponte delle spie” sia sembrato inferiore a un collega pamphlettista resta un mistero buffo di cui, peraltro, difficilmente si rioccuperanno i posteri. In quanto a “Revenant – Redivivo” –sottinteso che Inarritu non doveva o poteva vincere due volte di seguito- la sua buona, ma non eccelsa qualità è servita a recapitare finalmente la statuetta di migliore attore al grande Leo DiCaprio, umiliato e offeso nel passato ancorché protagonista di acclarati capidopera. San Morricone salva dalla disfatta Tarantino, l’inedita Larson rivendica la forza di una madre nel thrilling riuscito a metà “Room”, Stallone perde l’ennesimo match della sua vita artistica, il geniale copione firmato da Aaron Sorkin per “Steve Jobs” non è stato neppure nominato e la sfida dell’action-movie “Mad Max: Fury Road” agli autori col bollino è gratificata da una pioggia di Oscar tecnici. Perlomeno in questo modo il Don Chisciotte cinefilo ringrazia e s’accontenta.