Pubblicato il 14 Gennaio 2024 | da Valerio Caprara
0Perfect Days
Sommario: Un impiegato modello dell’azienda “Tokyo Toilet” si alza ogni mattina alla stessa ora, pulisce la stanza, si lava, indossa gli abiti da lavoro, innaffia le piante, ascolta in macchina rock d’annata (The Animals, Lou Reed, Patti Smith, Nina Simone) e si avvia col sorriso sulle labbra a tirare a lucido le già splendenti latrine della capitale.
2.8
In “Perfect Days” Wim Wenders, grande regista minacciato dalla qualifica di venerato maestro, mette in scena la routine quotidiana di un solitario cinquantenne nipponico allo scopo dichiarato di suggerire allo spettatore le piccole soddisfazioni che si possono ricavare anche dall’esercizio del più prosaico dei mestieri. Il film, a dir poco sui generis, nasce infatti dall’incarico conferitogli dalla municipalità di Tokyo di girare un documentario sui gabinetti pubblici del quartiere di Shibuya che, lungi dall’essere lerci e respingenti come da noi, sono modelli di design hi-tech (il migliore è quello le cui pareti di vetro diventano riflettenti nel momento in cui si entra e si chiude la porta e tornano trasparenti quando la si riapre e si esce): invece di eseguire la commissione WW, innamorato da sempre del Giappone (vedi il suo “Tokyo-Ga” dedicato a Ozu nel 1985), ha deciso di girare un film di fiction nel desueto formato quadrato eleggendo a protagonista un impiegato modello dell’azienda “Tokyo Toilet”. Hirayama, interpretato dal celebre attore locale Yakusho (premiato all’ultimo festival di Cannes), si alza ogni mattina alla stessa ora nel suo disadorno appartamentino, si lava, si sistema i baffi, pulisce la stanza, annaffia le piante, indossa una tuta blu, monta sul suo mini van, ascolta rock d’annata (The Animals, Lou Reed, Patti Smith, Van Morrison) e si avvia col sorriso sulle labbra a tirare a lucido le già splendenti latrine della capitale. Poi si siede sempre sulla stessa panchina in un parco per mangiare un sandwich fotografando con un vetusto apparecchio analogico i riflessi di luce che si formano tra le fronde degli alberi (la pratica giapponese del komorebi), si fa la doccia sempre nei bagni pubblici e consuma la cena alla solita tavola calda “dopo una dura giornata di lavoro” (il gestore lo accoglie sempre con queste parole). Parole pressoché nessuna, ma per il buon peso, si fa per dire, drammaturgico in giorni fissi della settimana porta la tuta in lavanderia e a fare sviluppare il rullino delle foto comprandone uno nuovo.
Così il film si limita a descrivere, con un piglio, un ritmo, un gusto che possono suscitare a pari merito estasi e tedio, i meticolosi e monotoni andirivieni del protagonista contrappuntati dalle sequenze oniriche disegnate dalla moglie del regista Donata alla stregua di haiku monocromatici. La strada, il cielo visto attraverso il parabrezza, l’amatissima musica che sgorga dall’autoradio del protagonista: WW, che ha spesso narrato intensi peripli geografico-esistenziali, li riformula adesso come se il fervore giovanile del road movie si fosse ridotto alla sua deriva minimalista. A questo punto, in effetti, sembra di avere detto tutto poiché WW non si preoccupa di sceneggiatura o di narrazione e propone al pubblico (preferibilmente quello dei fan) una sorta di pedinamento in surplace costellato di incontri furtivi, personaggi evanescenti, gesti meccanici ed espressioni ai nostri occhi intontite: alla fine sapremo poco o nulla di quest’uomo taciturno, del suo forse doloroso passato familiare e del suo amore per la letteratura che ampiamente consuma sul futon di casa. Certo nel caso in cui si aderisca genuinamente –cioè non per obbligo sapienziale-cineclubistico- al leitmotiv premeditato e soavemente provocatorio del film è possibile risalire a qualcuna delle possibili fonti dell’ispirazione, dalla tesi che la felicità può risiedere nella cancellazione dei desideri –apparente parafrasi della tesi sostenuta dall’amico e collaboratore Peter Handke in Infelicità senza desideri– alla scrittrice nipponica Marie Kondo che valorizza in Il magico potere del riordino solo le cose essenziali di una casa e soprattutto al filosofo sudcoreano naturalizzato tedesco Byung-chul Han che anche nei libri tradotti e apprezzati da noi come Il profumo del tempo, L’arte di indugiare sulle cose o La società senza dolore si focalizza sul disagio dell’individuo nella società contemporanea caratterizzata dalla prestazione, dalla competizione e dall’ossessione dell’iperattività che arrivano a produrre disturbi di natura depressiva e nevrotica.
“Perfect Days” è un’ode al qui e ora, a un presente immutabile e insieme l’autoritratto di un artista che giunto a settantasette anni ha trovato una forma di appagamento nella pratica miniaturizzata della propria arte. Nonostante la sin troppo esibita devozione ai feticci del mondo pre-digitale (audiocassette, foto di film, discussione con la nipote in cui Hirayama viene a sapere dell’esistenza di Spotify…), l’autore non assume del tutto la posa del reduce alternativo e forse non sogna nemmeno un improponibile ritorno al “suo” Novecento, ma preferisce il buddismo zen al fervore creativo e filma il mondo con cui ha fatto pace così com’è
PERFECT DAYS
DRAMMATICO – GIAPPONE/GERMANIA 2023
Un film di Wim Wenders. Con Köji Yakusho, Tokio Emoto, Arisa Nakano, Aoi Yamada, Yumi Asô, Sayuri Ishikawa
PERFECT DAYS
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Un film di Wim Wenders. Con Köji Yakusho, Tokio Emoto, Arisa Nakano, Aoi Yamada, Yumi Asô, Sayuri Ishikawa