Pubblicato il 14 Gennaio 2022 | da Valerio Caprara
0One second
Sommario: Evaso da un campo di lavoro gestito dagli aguzzini della Rivoluzione Culturale, un povero padre desideroso di rivedere lo spezzone di pellicola di un cinegiornale in cui è casualmente inquadrata la figlia dalla quale è stato brutalmente strappato, cerca di portare a termine il temerario proposito in uno sperduto villaggio del nord della Cina.
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Con “One Second”, girato dopo qualche anno dedicato solo ai revival dei kolossal “wuxiapan” (cappa-e-spada) e tratto da un romanzo di Yan Geling, Zhang Yimou torna ai suoi temi più laceranti e alle incursioni storiche più temerarie dimostrando ancora una volta di dovere essere collocato nell’empireo del cinema moderno. La raffinata suggestione, il delicato sarcasmo, l’esplicita denuncia, la capacità di rilevare nel contesto del cinema le sue qualità intime, linguistiche, tecnologiche e persino magiche, si concentrano, infatti, (nonostante l’odioso intervento censorio operato dal governo) in quest’esaltazione dei valori umani autenticamente libertari. Sino dal meraviglioso incipit –sorprendente facsimile da un’altra parte del mondo e un altro quadrante della Storia di quello del wendersiano “Paris, Texas”- quando un uomo solitario, lacero e ramingo è inquadrato nel campo lunghissimo dello sterminato deserto nord-cinese del Gansu, l’occhio del cineasta raccoglie i brandelli di una drammatica utopia, una missione pazzoide, un’ossessione che troverà un senso solo dopo le peripezie susseguitesi per centoquattro minuti sullo schermo. Il protagonista, evaso da un campo di lavoro gestito dalle Guardie Rosse a cui la scellerata Rivoluzione Culturale assegnò le aberranti funzioni di scherani della repressione maoista, ha scoperto, infatti, che l’unica possibilità di rivedere la figlia adolescente a cui è stato strappato brutalmente è quella di potere assistere alla proiezione di uno dei miseri cinegiornali di regime in cui la ragazza è stata inquadrata per un solo secondo dalla cinepresa: peccato che sulla sua strada si metta di traverso un’orfana vagabonda, agile e inafferrabile scugnizza chapliniana anch’essa disposta a tutto pur d’impossessarsi della medesima bobina e trasformarla in una lampada necessaria al fratellino studente. Diventa, così, facile e fluido riconoscere la potente allegoria: nelle comunità attestate ai confini del nulla, la luce che accende la fantasia nel capannone in cui si proietta per settimane e settimane lo stesso film di propaganda bellicista non è nient’altro che quella della passione originaria per la settima arte. E proprio come in un remake straniato e incrudelito di “Nuovo Cinema Paradiso” il vecchio e tenero proiezionista sembra il deus ex machina che può risolvere il buffo tira e molla tra i due paria, ma, al contrario di quanto accade in Tornatore un forte colpo di scena ribalterà la sua dedizione cinefila. Molte delle sequenze di “One Second” sono pronte a essere selezionate per le scuole di regia, ma qui basta rievocare la pioggia di fotogrammi infangati deposti su corde tese per essere lavati uno per uno dai paesani avidi di accalcarsi con le sedie e gli sgabelli portati da casa nella sala straripante ed eccitata oppure l’ingegnoso metodo escogitato dal proiezionista per fare rivedere al fuggiasco tutta la notte il microscopico ritaglio di pellicola. Il vento che scompiglia lo scenario primigenio delle dune non cancella le dolceamare ferite incise nel cuore e la mente dello spettatore e neppure i riferimenti alla ferocia della dittatura comunista, le imprese delle squadracce della Rivoluzione Culturale e il falso mito del Grande Timoniere (leggere al proposito le mille contorsioni e le definizioni espurgate usate da gran parte della critica nostrana per non infrangere i diktat del politicamente corretto).
ONE SECOND
DRAMMMATICO – CINA/HONG KONG 2020
Un film di Zhang Yimou. Con Zhang Yi, Liu Haucun, Fan Wei, Zhang Shaobo, Li Xiaochuan, Yu Ailei.