Recensioni

Pubblicato il 28 Maggio 2017 | da Valerio Caprara

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My Italy

My Italy Valerio Caprara
soggetto e sceneggiatura
regia
interpretazioni
divertimento

Sommario:

2.3


Quattro artisti contemporanei stranieri, più o meno felicemente residenti a Roma, si ritrovano invischiati in una serie di bislacche disavventure che moltiplicano il meccanismo del film-nel-film mettendo in una specie di centrifuga audiovisiva un pacchetto di paradossi sui destini dell’arte moderna. “My Italy” può considerarsi un ufo filmico che ha consentito al suo lìder màximo –lo sceneggiatore, regista e interprete Bruno Colella- di stilare per via diretta e indiretta un diario di viaggio attraverso l’Italia e l’Europa che se ne infischia delle velleità autoriali puntando a un effetto dissacrante che riesce a provocare in platea raffiche d’inarrestabile ilarità.

C’è solo l’imbarazzo della scelta: un funzionario della tv polacca pretende dagli esterrefatti aspiranti produttori Colella e Tornese di arruolare nel film per cui gli stanno chiedendo soldi la sua attrice preferita Serena Dream (cioè l’ex star erotica Grandi); la vedova Lina Sastri chiede con imperturbabile faccia tosta a uno scultore polacco di edificare per il defunto marito camorrista un monumento funebre identico a quello fatto per Kieslowski; l’idraulico Rocco Papaleo vorrebbe aggiustare un cesso che un ineffabile artista danese ha installato nella Certosa di Padula ecc. Il cast messo insieme dal vero produttore di “My Italy”, l’appassionato e tenace Angelo Bassi, conta, per il buon peso, su molte altre personalità in libera uscita sarcastica, tra cui Sebastiano Somma accoppiato alla “sirena” Nicola Vorelli, un grandioso Gragnaniello che si prende gioco con perfida raffinatezza del proprio orgoglio partenopeo, la finta femme fatale Luisa Ranieri ed Edoardo Bennato che spara rock incendiario sullo sfondo dei prediletti fondali flegrei… Può darsi che Colella abbia convocato tutti gli amici appartenenti alla categoria dei mattatori dello spettacolo per una sorta di rito di autoparodia terapeutica, ma in ogni caso ha avuto l’intelligenza di non farsene un vanto effimero e, al contrario, di utilizzarli come armi di distruzione drammaturgica delle stesse utopie artistiche in cui ancora fervidamente crede. Anche se, come confessa Alessandro Haber come sempre fantastico, a un’ammiratrice mentre s’avviano al rito dell’anteprima nella sala della Casa del cinema di Villa Borghese non si sa più in nome di che cosa o per conto di chi. Corroborato, per la verità, anche da alcuni contributi tecnici di prima scelta (per esempio la fotografia di Blasco Giurato e la musica di Louis Siciliano), Colella ha voluto giocare con i suoi soldatini in carne e ossa con spirito anarchico e senza pagare tributo alle norme del cinematograficamente corretto, ricevendone in cambio lo sgarbo di un “niet” di sapore sovietico alla richiesta di usufruire del bollino ministeriale dell’interesse culturale. Un incentivo che si concede con facilità pressoché a tutti i film che ne fanno richiesta; a patto, evidentemente, che non si siano messi in testa di divertire il pubblico come questo.

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