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Pubblicato il 4 Settembre 2023 | da Valerio Caprara

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Morte Lualdi

“Io Antonella amata da Franco”: mai autobiografia fu più esplicita. Infatti Antonella Lualdi, spentasi ieri novantaduenne in un ospedale vicino Roma, nonostante sia stata una star negli anni Cinquanta e Sessanta quasi gratificata della stessa popolarità di Lollobrigida, Ralli o Martinelli, è sempre rimasta legata al sodalizio coniugale e professionale con Franco Interlenghi, il fascinoso collega scomparso otto anni orsono. Sembra abbastanza superfluo disquisire in astratto sulle sue qualità d’attrice non tanto per rispetto della sua nutrita e importante filmografia, quanto perché la stessa si è sviluppata in un periodo particolarmente fecondo del nostro cinema in cui, per intenderci, tutti gli elementi del comparto -dagli investimenti dei produttori alla cultura degli sceneggiatori, dalla genialità dei registi alla varietà e versatilità degli attori- funzionavano in fervida e compatta sinergia. Fortunatamente riscoperto, studiato e valorizzato dagli storici della generazione post-neorealistica, quel cinema rappresentava l’humus ideale per il comune rigoglio dei film dei grandi maestri e quelli dei grandi artigiani scompaginando in anticipo sui tempi la malferma categoria del cinema “d’autore”.

Nata a Beirut nel luglio del 1931 dal padre ingegnere civile in trasferta di lavoro e la madre greca, Antonietta De Pascale inizia a recitare col nome d’arte di Antonella Lualdi nel 1949, appena diciannovenne, in “Signorinella” di Mattoli uno dei film musicali allora di gran voga a cui seguono una sfilza ininterrotta di prodotti consimili che le permettono di offrire a trame semplici e/o sentimentali la distesa radiosità del viso e la flessuosa armonia del corpo. Nel corso della lavorazione di “Canzoni per le strade”  (1950) incontra Interlenghi, esordiente di belle speranze che diventerà noto al pubblico dopo avere interpretato uno dei personaggi di “I vitelloni” e la sposerà nel 1955 formando una coppia come si direbbe oggi fashion, destinata a resistere anche a qualche crisi e a generare due belle figlie: Antonella, anch’essa attrice e Stella. I due recitano volentieri insieme, come dimostrano “Gli innamorati” e “Giovani mariti” di Bolognini o “Padri e figli” di Monicelli, ma Antonella sembra davvero risucchiata nella bulimia di tre o quattro film all’anno, come del resto succedeva a Totò e ad altri assi del glamour popolare: da “È arrivato l’accordatore”, “Tre storie proibite” o “Il romanzo della mia vita” (tutti del 1952) a “Cronache di poveri amanti”, “Casta Diva” o “L’uomo e il diavolo” (tutti del 1954) c’è anche spazio per dare un’impronta personale a capolavori come “Il cappotto” di Lattuada e l’episodio “Napoli 1943” di “Amori di mezzo secolo” di Rossellini. Il versante melò, naturalmente, è molto frequentato in una decade che tende a liberarsi dalla tristezza compulsiva del dopoguerra e che spinge il pedale sul sentimentalismo acceso in alternativa alla comicità più scatenata: la Lualdi, sempre perfetta nei ruoli permeati di una morbida femminilità, si fa amare senza suscitare l’attenzione che i censori rivolgono alle prodezze delle cosiddette “maggiorate fisiche” in film di tutto rispetto come “Andrea Chénier”, “Il cielo brucia”, “La notte brava” o “Via Margutta” (anche se i cinefili doc la preferiscono in film usa e getta come “Appuntamento a Ischia”). Anche nei successivi anni Sessanta, nonostante il florilegio delle ninfette disinibite capeggiate dall’impareggiabile Catherine Spaak, la sua garbata cifra espressiva riesce a farsi largo negli effervescenti cast di “Il giorno più corto”, “Se permettete parliamo di donne” di Scola, “I cento cavalieri” di Cottafavi o il delicato, estroso “Il disordine” di Brusati. Anche in questa fase, in ogni caso, spicca il ruolo prediletto dai divoratori di pellicola ovvero quello sostenuto in “I delfini” del giovanissimo Maselli.                  

Nei Settanta, invece, diventata un’adorabile signora, interpreta una serie di film molto meno riusciti, però appare in splendida forma sexy sull’edizione italiana di “Playboy” e incide il 45 giri “Il sogno” con arrangiamenti e direzione di Stelvio Cipriani riprendendo un po’ la vocazione di cantante coltivata agli esordi. Dopo un revival di un certo spessore dovuto al maestro Lattuada che la dirige nel 1992 in “Una spina nel cuore” e alla serie tv francese “Il commissario Cordier”, incappa purtroppo in una brutta storia, una di quelle che trascinano nell’era del gossip mediatico le superstiti dell’età d’oro di Cinecittà e dintorni. A darle filo da torcere tre anni orsono, infatti, è la nipote Virginia Sanjust di Teulada, quarantacinquenne figlia dell’Antonella assunta al cult vanziniano di “Vacanze di Natale”, che per estorcergli soldi l’ha aggredita nonché devastato l’appartamento romano di Ponte Milvio. Una volta condannata a un anno e cinque mesi la poco raccomandabile congiunta, la soave ex diva l’ha anche perdonata, ma sembra che ovviamente i rapporti non si siano più ricuciti. Di tutt’altra pasta, certo, erano le “Signorinelle” di una volta.   

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