Recensioni

Pubblicato il 19 Gennaio 2018 | da Valerio Caprara

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L’ora più buia

L’ora più buia Valerio Caprara
soggetto e sceneggiatura
regia
interpretazioni
emozioni

Sommario: Dieci giorni cruciali all'inizio della Seconda guerra mondiale in cui Churchill fu nominato primo ministro inglese e la sua determinazione, la sua astuzia e la sua incrollabile fede nella democrazia riuscirono a tramutare la rassegnazione del popolo in incrollabile fiducia nella vittoria.

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Imperniato sulla ricostruzione dei venti giorni che determinarono le sorti dell’Inghilterra e conseguentemente delle democrazie occidentali nella Seconda guerra mondiale, il film del londinese Wright (“Anna Karenina”) ha praticamente ipotecato la statuetta per il miglior attore alla prossima edizione degli Oscar. Gary Oldman, infatti, al di là dello strenuo lavoro del truccatore, è superlativo nello scolpire Winston Churchill anche sul piano del carattere, lo spirito e il pensiero per la cui attendibilità non sarebbe bastata la sola performance mimetica.

Il regista, inoltre, deve parte del merito che gli sarà attribuito dalla maggioranza del pubblico e la critica alla sceneggiatura scritta senza guizzi di genio, ma con impeccabile senso del mestiere dal drammaturgo neozelandese Anthony McCarten. La prima parte, in particolare, esibisce il nerbo di una solidità classica, sia per quanto riguarda il senso del ritmo, sia per la misura divulgativa: l’aula del parlamento dove i partiti si combattono per designare la figura di un nuovo primo ministro in grado di guidare la nazione in procinto di essere invasa dai nazisti diventa, in effetti, una sorta di quinta teatrale o meglio di luogo prettamente cinematografico, credibile perché fittizio e viceversa. Infastidisce poco, in questo senso, l’inevitabile dose di retorica patriottica perché –come succedeva anche in un titolo affine come “Il discorso del re”- Wright ha girato un film di parole (dialoghi tambureggianti, battute trancianti, lettere cruciali scritte a macchina dalla segretaria, discorsi storici memorabili) con la tecnica di un film d’azione puntando, così, a restituire il senso del transfer del destino di una singola vita in quello collettivo di un popolo. A volere essere fiscali quando, nella seconda parte, gli avvenimenti si focalizzano quasi esclusivamente su Churchill indeciso se rischiare l’olocausto dell’esercito inglese accerchiato a Dunkerque nel segno dell’ostinato dovere della resistenza oppure dichiararsi perdenti in partenza e accettare di trattare un armistizio con l’inaffidabile Hitler, gli andirivieni al Gabinetto di Guerra appaiono ripetitivi sul piano dell’efficacia narrativa e persino un po’ buffi sul piano di quella emotiva. Per fortuna, però, arriva la divertente sequenza del bagno di folla in metropolitana che consentirà al mattatore di rimettersi in sella e al film d’uscire dall’impasse. Malgrado, dunque, il rallentamento in sottofinale, la spinta propulsiva del film, supportata dalle magnifiche presenze di caratteristi all’altezza, si mantiene attiva sino alla battuta sul Churchill supremo oratore pronunciata da un avversario politico pro-trattativa: “Ha mobilitato la lingua inglese e l’ha mandata in guerra”. Alla quale gli spettatori odierni potrebbero allegare la chiosa “e adesso anche al cinema”.

L’ORA PIU’ BUIA

Regia: Joe Wright

Con: Gary Oldman, Kristin Scott Thomas, Ben Mendelsohn

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