Recensioni

Pubblicato il 30 Giugno 2017 | da Valerio Caprara

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L’infanzia di un capo

L’infanzia di un capo Valerio Caprara
soggetto e sceneggiatura
regia
interpretazioni
emozionini

Sommario: Al termine della prima guerra mondiale le potenze vincitrici lavorano al Trattato di Versailles. Nella casa di campagna non lontano da Parigi prende le mosse la ferrea e distorta educazione del precoce figlio decenne di un diplomatico americano.

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Ambizioso, subito adottato dai critici, originale e spiazzante, “L’infanzia di un capo” (“ The Childhood of a Leader”) rappresenta un antidoto allo stentato epilogo di una stentata stagione cinematografica, ma alle su tante doti non aggiunge quelle notoriamente care al pubblico: la gradevolezza e il divertimento. Tratto molto liberamente dal racconto di Sartre “Infanzia di un capo” incluso nell’invecchiata raccolta “Il muro”, il film scandisce in due parti di tono alquanto divergente la plumbea e allarmante formazione psico-societaria del figlio di un diplomatico americano a cui i dettami di censo e di classe e l’aridità del contesto familiare prepareranno un futuro da adulto drammaticamente coerente. L’esordio dietro la macchina da presa del ventinovenne attore americano Brady Corbet è in gran parte ambientato, infatti, in un’ampia casa della campagna parigina dove il decenne Prescott (Sweet) vive con la madre (Bejo) mentre il padre (Cunningham), assistente del Segretario di stato Usa, è impegnato nella capitale insieme ai rappresentanti delle nazioni vincitrici della prima guerra mondiale a stendere e fare firmare alla sconfitta Germania il Trattato di Versailles. Si delinea, così, la figura di un bambino efebico e squilibrato, capace d’alternare manifestazioni di grande precocità intellettuale a scoppi di collera isterici e survoltati…

Nonostante gli accenni al cinismo dei negoziatori, alle loro strategie tortuose e alla miopia delle percezioni nutrite nei confronti della Storia prossima ventura, “L’infanzia di un capo” non s’appassiona alla storia e alla politica, ma piuttosto si compiace di alludere a una serie di rapporti psicologici e chimismi umani a partire da quello cruciale tra l’imprevedibile (insopportabile) Prescott e la madre condannata alla solitudine, corrosa dall’infelicità e forzata a inseguire l’autoritarismo del marito. Anche il coro dei personaggi accessori (tra cui l’idolo delle teenagers Pattinson nelle vesti di equivoco giornalista), contribuisce a fare emergere un quadro frammentario, impressionistico, affascinante e insieme repulsivo, un microcosmo di umori e ossessioni dissonanti almeno quanto le musiche di Scott Walker. Il neoregista è stato sicuramente e beneficamente ispirato dalle esperienze attoriali compiute sui set di registi bizzarri, duri, alternativi come Araki, Haneke o Von Trier: il suo taglio drammaturgico e il suo occhio figurativo, pertanto, non sono mai banali; però, proprio a causa di questa scelta autoriale, il film rischia qua e là di farsi ripetitivo e arzigogolato, lasciare irrisolti interessanti spunti narrativi e addirittura autoridimensionarsi nella seconda parte che diventa più sbrigativa e finisce per sfociare in un finale prevedibile e didascalico.

L’INFANZIA DI UN CAPO

Regia: Brady Corbet

Con: Tom Sweet, Stacy Martin, Liam Cunningham, Bérénice Bejo

Drammatico. Gran Bretagna/Francia 2015

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