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Pubblicato il 13 Maggio 2020 | da Valerio Caprara

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Letture avvincenti/ Il mistero dell’Erebus

Stavolta non fa ridere, anzi rievoca per il piacere del lettore una vicenda ad alta ed enigmatica tensione. In effetti non è noto a tutti che Sir Michael Edward Palin, inglese del Northumberland classe 1943, coltivi passioni del tutto diverse da quelle legate al mestiere di attore e in particolare di membro fondatore del sulfureo team dei Monty Phyton al diapason del successo nel cabaret, il cinema e la tv tra la fine dei 60 e l’inizio degli 80: dove, tra l’altro, il suo abituale personaggio di finto ingenuo votato a mettere in imbarazzo gli interlocutori gli ha consentito d’incarnare una sorta di collante artistico nelle performance con i compari Chapman, Cleese, Gilliam, Idle e il recentemente scomparso Jones. In ogni caso è proprio lui, che nell’identità collaterale di un Piero Angela britannico ha scritto guide e diari di viaggio nonché diretto i pregevoli documentari “Palin’s Travels”, l’autore di Il mistero dell’Erebus (Neri Pozza, 416 pp, 19Euro) per adesso disponibile solo in ebook, ma pronto a uscire in versione cartacea (si spera anche nelle riaperte librerie) il prossimo 21 maggio: un resoconto storico davvero avvincente, grazie anche alla limpida e scorrevole traduzione di Ada Arduini, che ha le carte in regola per diventare uno dei capisaldi del classico filone delle avventure d’ambientazione marinaresca. La cui singolarità, a ben vedere, già emerge dalle circostanze che hanno condotto Palin a dedicarsi all’argomento: appassionato sin da ragazzo dei romanzi di C. S. Forester incentrati sul personaggio di Horatio Hornblower e strenuo cultore del “naturale e appagante contatto fra imbarcazione e acqua”, viene invitato nel 2013 a tenere all’Athenaeum Club di Londra una conferenza consistente nello scegliere un socio del club scomparso o vivente e raccontarne la storia nell’arco di un’ora. Essendo stato colpito nel corso della realizzazione di un documentario precedente dalla figura e la carriera di Joseph Hooker, autorevole direttore ottocentesco dei Royal Botanic Gardens di Kew, il poliedrico Sir Michael decide di approfittare dell’occasione per scandagliare un passaggio cruciale della sua biografia: nel 1839, infatti, l’intrepido Hooker era stato assunto appena ventiduenne come vice medico di bordo e botanico di un veliero in forza alla Royal Navy, l’“Erebus” appunto, che trascorse diciotto mesi in Antartide portando a termine la preziosa esplorazione di una delle lande più desolate e inospitali del pianeta. Una volta scritta e tenuta la conferenza, però, Palin da occasionale divulgatore si trasforma in inesausto indagatore del tragico seguito dell’impresa: accadde infatti che il 19 maggio 1845, sulla spinta degli onori e i festeggiamenti tributati dall’opinione pubblica e i media vittoriani, la stessa nave insieme alla gemella “Terror” e centoventotto uomini d’equipaggio comandati dal celebre ed esperto capitano John Franklin salpasse nuovamente con il compito di localizzare il cosiddetto Passaggio a nord-ovest, ossia la rotta fino ad allora mai percorsa da nessuno (ci riuscì per primo il mitico Roald Amundsen) che collega nell’emisfero boreale l’Oceano Atlantico al Pacifico attraverso l’arcipelago artico canadese. Sfortunatamente, però, le due navi rimasero intrappolate dai ghiacci nello stretto di Vittoria e scomparvero per sempre senza che un solo uomo tornasse indietro e quel che è peggio fosse possibile rinvenire una minima traccia dell’avvenuto disastro.

Ed è a questo punto che il libro prende lo slancio per tenere definitivamente avvinto il lettore: cos’era capitato alle navi e in particolare a quella che, perfettamente equipaggiata da strumenti avanzatissimi per studiare il magnetismo, la botanica e la zoologia e debitamente rinforzata per resistere alla morsa dei ghiacci, era ritenuta la più affidabile dell’intera flotta inglese? Fino a dove la missione era riuscita a spingersi? Perché l’intero equipaggio aveva abbandonato precipitosamente lo scafo incagliato avventurandosi in una marcia pressoché suicida? E per quali cause erano deceduti i malcapitati membri, considerando anche che dalle analisi effettuate su alcune salme in seguito esumate sulla terraferma erano emersi, oltre agli esiti di malattie come la polmonite e la tubercolosi causate dalle temperature intollerabili, indizi di avvelenamenti da piombo e addirittura di pratiche antropofaghe? Corredato da mappe, fotografie e riproduzioni di quadri e incisioni estratti dall’ampia documentazione esistente e dai revival del nefasto evento noto oltremanica come la “spedizione perduta di Franklin”, Il mistero dell’Erebus non sfigurerà nello scaffale contiguo a quello dove illuminano il nostro spirito le opere di Conrad, Stevenson e Melville: anche perché, con un colpo di scena degno dei suddetti monumentali narratori, nel settembre 2014 una barca canadese addetta ai rilevamenti acustici lungo la costa di alcune delle migliaia di isole presenti nel Mare glaciale Artico scopre un relitto sprofondato nella sabbia del fondale di cui, nonostante la poppa semi frantumata e il folto sudario di vegetazione sottomarina, si riescono a poco a poco a scorgere due eliche, otto ancore e un cospicuo frammento del timone. Poco dopo, così, il primo ministro del Canada può annunciare al mondo che quei resti, ispezionati da una squadra di archeologi subacquei, sono senz’ombra di dubbio quelli della nave scomparsa da circa centosettanta anni. Due anni più tardi anche la “Terror” è stata ritrovata sul fondo del mare al largo dell’isola canadese di Re Guglielmo e anche in questo caso gli interni della nave, sorprendentemente conservati, hanno permesso agli studi specialistici di dissipare qualcuno dei numerosi dubbi sorti sul destino toccato alla spedizione.

Il cinema e la fiction, qui messi provvisoriamente in disparte, non hanno, per la verità, mancato di dedicarsi anch’essi al materiale rielaborato dal poliedrico Palin: nel 2007, infatti, Dan Simmons ha scritto un romanzo (The Terror) basato su una rilettura in tonalità soprannaturali della vicenda e subito dopo Amazon Prime ne ha tratto e messo in onda l’omonima mini serie di dieci episodi ad alto budget. In questo caso la narrazione, spostata sul terreno del sottogenere “survival horror”, esalta i ritratti dei protagonisti tra cui spiccano Ciaran Hinds nelle vesti di Franklin e Jared Harris in quelle del prode irlandese comandante in seconda Francis Crozier, ma soprattutto riesce a far sì che l’aspetto più terrificante sia ciò che non si vede bensì instaura il climax d’insostenibile attesa provocato da un’ipotetica malvagia presenza sempre sul punto di scatenarsi contro gli inconsapevoli invasori. E’ forse possibile pensare che nel corso dell’attuale, drammatico frangente di emergenza sanitaria, in cui si usa discettare su una Natura finalmente propensa a riappropriarsi della propria idillica purezza inquinata dalla cattiveria e la cupidigia umane, l’incalzante dossier dall’ex burlone dei Monty Phyton possa funzionare come antidoto a tanta faciloneria ecologistico-moralista. Magari per averci saputo ricordare, senza indulgere alla magniloquenza o all’invettiva, come quella stessa Natura sia capace di distruggere chiunque la sfidi con troppa spavalderia anche in nome delle più nobili esigenze di progresso e conoscenza.

 

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