Pubblicato il 25 Novembre 2024 | da Valerio Caprara
0Le déluge – Gli ultimi giorni di Maria Antonietta
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Elegante e raffinato come in Italia ce ne sono oggi pochissimi. Ma anche emotivamente intenso e intellettualmente libero: “Le déluge”, secondo lungometraggio di Gianluca Jodice, ricostruisce circostanze cruciali della Rivoluzione Francese che tutti conoscono o credono di conoscere eppure tiene avvinti come un thriller dall’esito imprevedibile perché, nel solco dei grandi film storici tracciato fra gli altri da Rossellini e Kubrick, non è tanto importante che cosa stia per accadere, ma come ciò accadrà.
Selezionato per l’apertura del festival di Locarno, ma scandalosamente non a Cannes né a Venezia, la ricostruzione degli ultimi giorni di vita di Luigi XVI imprigionato insieme a Maria Antonietta (peraltro stranamente l’unica a essere citata dal sottotitolo italiano) riesce nell’impresa di ricostruire la Storia con la consapevolezza del presente ma senza ridurne per ragioni di polemica contingente la sua infinita complessità. Se il film, insomma, riesce a istituire connessioni con le attuali sensazioni di tragico disorientamento, lo fa forgiando lo stile di inquadrature e sequenze anziché tramite i consueti e rozzi parallelismi. Ispirato dai quaderni raccolti in “Il prigioniero del Tempio” di Jean-Baptiste Hanet detto Cléry, la sola persona autorizzata dalla Convenzione a risiedere alla Tour du Temple durante la prigionia della famiglia reale e rimasto accanto a Luigi XVI fino al giorno della decapitazione, il film si divide in tre capitoli, Gli dei, Gli uomini e I morti, ognuno dei quali si avvale di un codice visivo diverso. Nel primo, i protagonisti Cantet e Laurent esprimono mirabilmente la stupefazione con cui si ritrovano ridotti dal rango di dei scesi in terra a quello di cittadini qualsiasi in stato di arresto, mentre la fotografia di Daniele Ciprì, destinata anche in seguito a esibire potenzialità eccelse, livella nei meandri dell’imponente palazzo le figure umane, sia quelle dei monarchi gravati dal peso di accuse tremende, sia quelle dei carcerieri che imparano a memoria i virulenti comunicati dei rivoluzionari. Nel secondo, il ritmo si spezza di continuo, la macchina a mano sembra inseguire le posture e le convulsioni dei corpi e l’impietosa distanza tra vincitori e vinti si sgretola in uno sconcio travaso d’istinti di vita e di morte. Nel terzo, la regia rallenta le cadenze entrando in un cono d’ombra che assume le tonalità di un requiem, mentre tutti i protagonisti sembrano via via spogliarsi di convinzioni, ruoli, gradi, abiti e orpelli. A questo proposito è doveroso sottolineare lo strepitoso contributo di Massimo Cantini Parrini, proprio perché, come accade nei migliori film in costume, quest’ultimo non è un semplice accessorio decorativo ma fa parte della scenografia, prolunga i gesti e gli atteggiamenti degli attori e diventa un elemento del racconto che include un proprio vissuto.
In un film così concentrato e conciso in cui, cioè, non c’è spazio per divagazioni e didascalie superflue, trovano posto solo le peculiari metafore che mettono la cinefilia al posto dell’ideologia come quella della lanterna magica che a un certo punto intrattiene e consola i bambini oppure quella del labirinto di siepi in cui i personaggi si muovono quasi per trovare una via d’uscita.
Su di un piano contiguo vanno, in effetti, a disporsi le sensazioni dello spettatore che eventualmente ricerchino la chiave di lettura del racconto, non a caso collegata alla frase “Aprés moi, le dèluge”, dopo di me il diluvio, attribuita a Luigi XV ma forse pronunciata in prima battuta da Madame de Pompadour: a Jodice non interessa inoltrarsi nel dedalo della monumentale bibliografia disponibile (anche se nessuna narrazione è integralmente neutra e ci sono, secondo il pensiero sovversivo dello storico François Furet, due maniere per non comprendere nulla della Rivoluzione: maledirla o celebrarla), ma si limita a focalizzare gli aspetti più dibattuti e contraddittori della stessa su quattro aspetti principali: il capo d’accusa contro l’ultimo sovrano assoluto per diritto divino che si basa in fondo sul solo crimine accertato di essere stato re, una delle sue timide e solo in apparenza deboli tesi difensive consistente nella certezza che l’uguaglianza in natura non esista, la tematica freudiana dell’edipica uccisione del padre e la messa in rilievo delle conseguenze pratiche della teoria astratta del dominio assoluto della Ragione illuminista. Il film resta dunque un film, ancorché straordinario come ribadisce la scena conclusiva, quasi un dipinto d’epoca di David o Delacroix, perplessa e angosciata in sintonia con i sentimenti dei leader giacobini sulla cui testa aleggia non solo il crepitio, appunto, di un diluvio, ma anche la paurosa premonizione che i successori del Terrore saranno il colpo di stato del Termidoro e il 18 brumaio di Napoleone Bonaparte.
LE DÉLUGE – GLI ULTIMI GIORNI DI MARIA ANTONIETTA
STORICO/DRAMMATICO – ITALIA/FRANCIA 2024
Un film di Gianluca Jodice. Con: Guillaume Canet, Mélanie Laurent, Aurore Broutin, Hugo Dillon, Fabrizio Rongione, Tom Hudson