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La stanza accanto
Sommario: Dopo essersi rincontrate per caso e avere recuperato l'antica confidenza, Martha, ex fotoreporter di guerra affetta da un gravissimo tumore propone alla fascinosa scrittrice Ingrid di accompagnarla nella splendida casa nei boschi che ha affittato e di tenerle compagnia nel corso dei suoi ultimi giorni sino al “momento giusto”, a quando, cioè, deciderà di prendere la pillola letale comprata sul dark web.
2.8
Leone d’oro all’ultima Mostra del cinema di Venezia e primo lungometraggio di Pedro Almodóvar girato in lingua inglese, “La stanza accanto” (“The Room Next Door”) affronta il massimo tabù umano ovvero come ognuno di noi dovrà e potrà morire. Non è la prima volta che il cinema osa dedicarsi agli esiti funesti di una grave malattia -basti pensare allo straziante “Sussurri e grida” di Bergman- ma il settantaquattrenne regista spagnolo, adattando per lo schermo il romanzo What Are You Going Through di Sigrid Nunez, ha cercato di mantenere in sottofondo alla rigorosa e iperstilizzata messinscena residue tonalità della sua imprevedibile e irriverente concezione del mondo. Non diremmo, peraltro, con pieno successo perché il film, nonostante il coraggio nel mixare pathos e ironia, riesce ad acquisire un’effettiva consistenza drammaturgica solo in virtù della classe delle due protagoniste che si esibiscono in un tour de force di bravura svincolato da un insieme inficiato da didascalismi superflui, flashback irrilevanti e flebili riferimenti ai melodrammi anni Cinquanta di Sirk e lo struggente raccoglimento dello Huston di “The Dead”. La Swinton interpreta Martha, saggia ex fotoreporter di guerra affetta da un gravissimo tumore, mentre la Moore s’immedesima nell’affascinante e nevrotica scrittrice Ingrid: dopo essersi rincontrate per caso e avere recuperato l’antica confidenza, la prima chiede all’amica di accompagnarla nella splendida casa nei boschi che ha affittato e di tenerle compagnia nel corso dei suoi ultimi giorni sino al “momento giusto”, a quando, cioè, deciderà di prendere la pillola letale comprata sul dark web (il gruppo di siti accessibili attraverso un apposito browser il cui scopo è mantenere anonime le pratiche internet illegali). Al mirabile recital delle due dive s’accosta anche la presenza del libidinoso Damian (Turturro) che ha vissuto in passato una love story sia con Martha che con Ingrid, ma anche la discesa in campo dell’unico personaggio almodovariano al cento per cento sembra alquanto soffocata dal leitmotiv autocelebrativo: oltre alle sbrigative battute polemiche dedicate a una problematica delicata come l’eutanasia e l’immancabile intemerata sulla catastrofe ambientale, infatti, la visione dell’America contemporanea si limita a veleggiare tra i soliti ambienti letterari newyorkesi, lo scontato stile trasgressivo/trendy della rivista “Paper” e le frequentatissime scenografie e fotografie di cinema e teatro ispirate ai quadri di Hopper. Se aggiungiamo che il film, tranne una manciata di esterni, è stato quasi tutto girato a Madrid verrebbe da interrogarsi sul perché Almodóvar abbia deciso di farlo, al di là del desiderio di lavorare con Moore e Swinton e vincere premi ai festival che l’hanno sempre snobbato. Certo, sono ragioni forti, ma quando si parla di uno dei più grandi registi viventi, “abbastanza buono” suona come abbastanza deludente.