Pubblicato il 17 Dicembre 2017 | da Valerio Caprara
3La ruota delle meraviglie
Sommario: Coney Island, New York, anni Cinquanta. L'esacerbata Ginny, malmaritata a un rozzo proletario, è il fulcro del girotondo di cinque personaggi infelici, sfortunati, grossolani o velleitari, ma in ogni caso condannati al ruolo di perdenti della vita.
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Può sembrare un autogol professionale e forse lo è: un film di Woody Allen lo si aspetta con curiosità e lo si va a vedere a prescindere dai riscontri critici. Certo interessa di più sapere se l’ultimo arrivato va classificato nel filone delle commedie o in quello (melo)drammatico, perché l’ottantaduenne regista continua imperterrito a destreggiarsi tra la vena umoristica e/o romantica e quella, per la verità frequentata in tempi lontani dai diktat adesso imposti dall’anagrafe, ispirata dai cult-movie del venerato Bergman. Non c’è dubbio al proposito che “La ruota delle meraviglie” di occasioni per rallegrare la platea ne conceda davvero pochissime, svolgendosi per intero in un opprimente scenario che sembra stretto tra le quinte di un palcoscenico nonché avvolto da atmosfere morali e materiali decisamente cupe e pessimiste. Questa constatazione non mira a premettere, ovviamente, un giudizio di valore perché tanti spettatori e non solo i cultori sanno apprezzare l’abilità e la grazia con cui Allen dispone i personaggi come pedine dell’intreccio, attiva le propensioni degli interpreti a uscire dai propri cliché e fa lavorare tecnici di prima classe sull’accordo tra fatti e fondali (e in questo caso la fotografia di Storaro fa meraviglie); tutto sta, poi, nel ritrovarsi a misurare l’eventuale distanza tra lo slancio creativo e l’impatto oggettivo ottenuto sullo schermo. Su questo piano, magari ingeneroso, ci sembra che “La ruota delle meraviglie” non sia purtroppo in grado di posizionarsi ai piani alti della sua filmografia.
Il quadro psicologico estraibile dal girotondo di un quintetto di povericristi anni Cinquanta sembra subito schematico e banale, eppure ci si aspetta che nel corso dell’ora e quaranta di proiezione si faccia strada qualcuno dei geniali sparigli narrativi tipici del metodo alleniano. Invece la Winslet, pur sempre radiosa e perfetta, resta solo e sempre l’ex attrice frustrata e ora cameriera Ginny, funestata da un figlio di primo letto disturbato e piromane; Belushi solo e sempre Humpty, il suo nuovo e volgare marito manovale delle giostre di Coney Island; la Temple solo e sempre Carolina, la figlia di quest’ultimo sbucata fuori dal nulla per sfuggire a un gangster; il mediocre Timberlake solo e sempre l’aitante bagnino Mickey, aspirante scrittore indeciso tra continuare a essere l’amante di Ginny o diventarlo della scafata e tormentata Carolina. Nessuno si eleva, cioè, dalle pagine del copione per trasformare le dolorose schermaglie della vita in una percezione universale della sua tragica limitatezza. Il dettaglio dell’emicrania che affligge Ginny, antieroina ricalcata sugli esacerbati personaggi incarnati da Joan Crawford nel cinema americano classico, ai nostri occhi diventa, così, quasi una metafora portante, il segnale del disagio provato da un film tutto “di testa” nel trapiantare i temi del teatro di Tennessee Williams o di film tratti dallo stesso autore démodé come “Un tram che si chiama Desiderio” nel mondo sempre più spento e raggrumato del piccolo grande maestro newyorkese.
LA RUOTA DELLE MERAVIGLIE
Regia: Woody Allen
Con: Kate Winslet, Jim Belushi, Juno Temple, Justin Timberlake
Genere: drammatico. Usa 2017