Recensioni

Pubblicato il 19 Marzo 2016 | da Valerio Caprara

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La corte

La corte Valerio Caprara
protagonista
ambientazione
sceneggiatura
emozione

Sommario: Giudice misantropo, meticoloso e inflessibile si apre all'improvviso a recondite emozioni nel corso di un processo a un presunto infanticida.

2.3


Quanto sia bravo Fabrice Luchini, lo sappiamo da tempo; e quanto sia ricco il genere processuale pure. La combinazione, però, non rende “La corte” un film migliore. Anche se in grado di confermare il fatto che il cinema francese può contare su una gamma ben più ampia della nostra di spunti, argomenti, tagli e tonalità, infatti, il regista Vincent ha costruito in “L’hermine” (titolo originale che allude all’ermellino che indossano i giudici) un puzzle umano e sociale che a poco a poco si sfrangia prima di potere acquisire un senso narrativo convincente e compiuto. Il Presidente di Corte d’assise Racine è, in effetti, un personaggio perfetto per le impagabili espressioni dell’attore: misantropo, solitario, squallido e soprattutto severo tanto da essere soprannominato il “giudice a due cifre” perché le sue condanne non sono mai inferiori a dieci anni, è impegnato in un caso d’infanticidio che coinvolge una coppia sottoproletaria distrutta dal dolore, dal sospetto e dal rancore.

Più che il meccanismo tecnico del procedimento, del resto illustrato a profusione in molti precedenti, viene delineata la trama intricata e ingannevole delle diverse prospettive che inquadrano il caso nudo e crudo: così il regista può accennare sia all’atteggiamento e alla predisposizione dei giurati, sia alla condizione etnico-sociale degli imputati, da cui un po’ troppo meccanicamente discenderebbe il crimine commesso. Dicevamo, appunto, “accennare”: “La corte” è un film certo pudico e lieve, che non riesce però a irrobustire drammaturgicamente i temi messi in campo (non a caso la giuria pasticciona dell’ultima Mostra di Venezia gli ha assegnato il premio per la migliore sceneggiatura. Tanto da obbligare ad aggiungere un mini colpo di scena che riguardi la vita privata del magistrato e faccia balenare la consolatoria idea che non sia davvero un uomo così arcigno e arido. Luchini regge l’impianto rischiando anche di gigioneggiare (non a caso la succitata giuria gli ha assegnato la Coppa Volpi al miglior attore) e gli attori, a cominciare dalla donna del mistero interpretata da Sidse Babett Knudsen, cercano di stargli dietro con le dovute devozione e discrezione.

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