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Pubblicato il 9 Agosto 2022 | da Valerio Caprara

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La “bibbia” della Mostra del Cinema

È stato recentemente divulgato e ampiamente commentato il programma della prossima edizione, ma il vero scoop è l’uscita di La Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 1932-2022 di Gian Piero Brunetta, il decano degli storici del cinema italiano. Si tratta di un’opera monumentale dedicata al più antico e prestigioso dei festival a novant’anni esatti dall’inizio pubblicata da Marsilio in collaborazione con la Biennale (pp. 1185, Euro 42) e di un’impresa mai tentata prima sia nelle dimensioni, sia nel metodo storiografico, sia nella qualità e attrattività dei contenuti. Superato il gap che in casi analoghi separa il risalto audiovisivo dei documentari dalla pagina scritta, il lettore è, infatti, messo in grado di partecipare a un autentico romanzo d’avventura e conoscenza gestito ripercorrendone gli eventi edizione dopo edizione dall’ottantenne professore che ha rivoluzionato le storie tradizionali del nostro cinema con la sua nutrita bibliografia e adesso la suggella col più “grande” libro mai scritto su un festival non solo italiano. Mentre i repertori sono farraginosi, qui è possibile assistere a una sorta di ciclo di vita & opere festivaliere che, pur essendo suddiviso in opportuni quadri cronologici, è supportato da una trama naturale fitta di acmi, rinnovamenti, routine, regressi e rilanci, una narrazione che prende in considerazione le vicende politiche e istituzionali e l’immenso archivio dei film presentati, ma non smette d’integrarli con tre componenti decisamente più glamour: le personalità di tutti i direttori avvicendatisi, quelle dei principali registi e attori sbarcati al Lido e quelle dei critici e gli inviati che li hanno messi assiduamente in luce sulle rispettive tribune mediatiche. C’è già da appassionarsi -e non era scontato- nello scorrere gli identikit dei Chiarini e i Meccoli, i Rondi e i Lizzani, i Pontecorvo e i Barbera di volta in volta chiamati al posto di comando in qualità di studiosi, decisionisti, diplomatici, outsider senza partito o potenti “commis d’état”: una schiera di direttori/autori, insomma, alla pirandelliana ricerca dei loro personaggi.

Lo spazio dedicato ai fattori che polarizzano le curiosità e gli interessi  del lettore assomiglia, invece, a una costellazione gremita di pianeti che riemergendo dal passato remoto o prossimo suscitano i sentimenti più vividi, dall’entusiasmo al dissenso: basta aprire a caso il libro, infatti, per imbattersi nei nomi di Visconti o Rossellini, Kubrick o Renoir, Antonioni o Bertolucci, Kurosawa o Bunuel oppure in titoli vittoriosi o perdenti, esaltati o vilipesi, sviscerati o incompresi del calibro di “Rashōmon” o “La parola ai giurati”, “La sfida” o “La grande guerra”, “I diavoli” o “Tom Jones”, “Il servo” o “Fuga da Alcatraz”. Essendo anche un raffinato osservatore delle dinamiche che dallo schermo convergono nelle sale e negli spettatori, Brunetta traccia altresì una mappatura delle corrispondenze dal Lido e dunque dei protagonisti di tre-quattro generazioni della critica cinematografica. Si susseguono così, proprio nel senso “romanzesco” che abbiamo attribuito all’opera, le descrizioni, le decifrazioni, le stroncature e le beatificazioni espresse dalle firme antiche e moderne di quotidiani, riviste, radio e televisioni e assemblate come nessuno aveva mai fatto in base alle svarianti opzioni analitiche, impressioniste, ideologiche o estetiche. Il corpus di questa bibbia cinefila si svincola dunque dal peso del tempo e assume forma autonoma sino a creare l’effetto di un murales in cui tutto si tiene e si rigenera, dalle emozioni artistiche alla calca delle entrate, dai red carpet allo zelo degli uffici stampa, dagli applausi e i fischi a schermo spento alle discussioni sulle scale del Palazzo ormai deserte e avvolte dall’umidità della laguna.

 

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