Pubblicato il 16 Dicembre 2010 | da Valerio Caprara
0La bellezza del somaro
E’ un film curioso e coraggioso, malinconico e surreale, l’opera n°3 di Sergio Castellitto dietro alla macchina da presa. Uno di quei titoli che non consentono al recensore di prevedere con quale tipo di reazioni dovrà fare i conti: “La bellezza del somaro”, in effetti, è una neo-commedia all’italiana (tratta da un racconto di Margaret Mazzantini) che non vuole lisciare il pelo ai mangiafilm di bocca buona, ma nello stesso tempo si rivela ostile agli adepti del cinema protetto, edificante, garantito da nobili certezze o magnanimi conforti. La dose di estrosa cattiveria e intelligente scorrettezza che il grande attore dispensa a piene mani gli impedisce, inoltre, d’apparire fermo a metà del guado fra la tendenza Muccino e la tendenza Virzì e fa capire come i suoi referenti da regista siano piuttosto Ferreri e i Monthy Python.
Tenuta pour cause assai sopra le righe, la ballata in forma di farsa intende prendere di petto innanzitutto i benestanti coniugi borghesi Castellitto e Morante, perfettamente ligi al format benpensante/progressista che si vuole antropologicamente contrapposto a quello cafonal/teledipendente. Una gragnuola di colpi alti e bassi che, radunando adulti amici e parenti nonché adolescenti figli e fidanzati per un weekend nella canonica casa di campagna, non la fa buona a nessuno: un coro d’interpreti stonati della postmodernità, una sfilata di sgangherati cercatori di felicità materiali e spirituali, un tourbillon di schiavi delle proprie ubbie o fissazioni spacciate per prerogative o ideali. Il sovratono nevrotico noir, servito da un montaggio mercuriale, potrebbe esasperare, ma la somma bravura di Castellitto nello scegliere e gestire gli attori stabilisce l’ancoraggio principale: a loro agio nella composizione a zigzag, si dimostrano tanto più credibili quanto più paradossali lo stesso blaterante protagonista, la psicologa Morante attorniata da mamma aggressiva e pazienti irrecuperabili, il manager Imparato che compita l’inglese traducendo a ruota libera il nulla, l’urlante preside Grimalda che “sta sul territorio”, la badante kapò Ketral, il volgare e promiscuo chirurgo Giallini, l’ex moglie Vitale giornalista “de’ sinistra” inalberante capelli grigi naturali, i diciassettenni Mencarelli, Lo Sasso, Pietro Castellitto non meno inguardabili e svalvolati. Il colpo di genio del copione è peraltro riservato alla viziata figlia Rosa (la tenerissima e insieme tostissima Nina Torresi), pronta a trapiantare il nuovo boyfriend in seno alla famiglia allargata: tutti aperti, giovanili, ecosolidali, democratici, ma tutti ugualmente inebetiti al cospetto dell’alieno signore settantenne che legge Adelphi, suona i bonghi e si chiama Armando.
Il castello di carte costruito con un po’ di karaoke e di femminismo a buon mercato (“non attacco un bottone a un uomo dai tempi del maggio francese”) crolla ancora prima che papà per capirci finalmente qualcosa si metta a sfumacchiare una canna. Armando, interpretato da Enzo Jannacci con una stralunata imperturbabilità che ricorda il mitico Chance di “Oltre il giardino”, certifica come la vecchiaia esista e costituisca un antidoto al finto vitalismo della società infingarda e taroccata. E come forse l’origine del caos stia nella rozza quanto concreta massima del manager: quando eravamo giovani, i giovani non contavano un c…; ora che siamo genitori noi, i genitori non contano un c…
LA BELLEZZA DEL SOMARO
REGIA: SERGIO CASTELLITTO
CON: SERGIO CASTELLITTO, LAURA MORANTE, MARCO GIALLINI, GIANFELICE IMPARATO, NINA TORRESI