Pubblicato il 10 Settembre 2023 | da Valerio Caprara
0Io Capitano
Sommario: I cugini sedicenni Seydou e Moussa non se la passano troppo male nella dignitosa e operosa povertà di Dakar, ma sognano di raggiungere l'Europa che vedono e conoscono sui cellulari, YouTube e la tv. Il viaggio, però, si trasformerà in un calvario e un rito forzato d'iniziazione all'età adulta.
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Lo chiamano semplicemente “il viaggio”. On the road, certo, ma senza alcun alone romantico o alternativo, bensì col febbrile desiderio di scoprire un mondo –l’Europa- che vedono e mitizzano grazie ai baluginanti specchi dei cellulari, YouTube e la tv. Lo sognano e lo preparano in gran segreto i cugini senegalesi Seydou e Moussa che in fondo non se la passano troppo male nella dignitosa e operosa povertà di Dakar: un luogo brulicante ma accogliente dove le mamme sono presenti e premurose, possono lavorare in cantiere accumulando il gruzzoletto necessario, indossare sneakers pezzottate e vecchie magliette del Barça e del Real, comporre rap e suonare negli scatenati show danzanti allestiti nelle strade. “Io Capitano” conferma il dna artistico di Matteo Garrone, la sua vena fantastica e nel contempo iperrealista, priva di strettoie ideologiche e cavillosità sociologiche, motivata dalla sua innata curiosità nei riguardi delle storie della Storia nonché sempre attratta –come in questo caso- dalle inestinguibili inclinazioni giovanili a soddisfare la sete d’avventura, amore e conoscenza. L’unica assonanza cinematografica con altri maestri, in effetti, può essere istituita con il documentario di Pasolini “Appunti per un’Orestiade africana”, un diario di viaggio girato in due tempi (tra il ’68 e il ’69) per un film ispirato a Eschilo che poi non si realizzò mai: quasi un saggio per immagini, volti e corpi che tramanda l’immagine irripetibile di un continente che Pasolini aveva osservato come spazio di un violento e magico processo di metamorfosi dal mondo arcaico alla modernità.
È sicuro in ogni caso che rimarranno a bocca asciutta gli habitué dell’odio e l’improperio contro l’uno o contro l’altro perché il film, scritto dall’autore insieme a Ceccherini, Gaudioso e Tagliaferri, scorre senza spropositate ambizioni, con studiata semplicità, suggestivo tocco pittorico (la fotografia di Paolo Carnera è notevole perché spinta con destrezza ai limiti dell’oleografico) e rilassata capacità affabulatoria affrontando il tema delle migrazioni nell’Africa e dall’Africa come la versione personale e un po’ trasognata di un romanzo di formazione, certo ispirata dalle tragiche cronache recenti però gremita degli stessi picchi emotivi, le stesse prove fisiche e gli stessi conforti onirici attribuiti alle classiche icone letterarie di Tom Sawyer e Huckleberry Finn, David Copperfield e Oliver Twist, Martin Eden e il Giovane Holden oltre a quella, naturalmente, del martire pedagogico per eccellenza Pinocchio già rivisitato sullo schermo quattro anni orsono. I due sedicenni non partono, dunque, perché soffrono atrocemente, ma perché vogliono vivere meglio rappresentando, così, un’immensa fascia di giovani africani globalizzati che non fuggono da guerre e carestie, bensì coltivano l’utopia di diventare ricchi e famosi in Europa. Il prezzo da pagare attraversando il Mali, il Niger e il deserto del Sahara sono, appunto, gli impatti con le balene, le gorgoni e gli orchi, i mostri mitologici mangia bambini e sputa fuoco delle fiabe ovvero –la metafora non è ardua né forzata- i miliziani corrotti, i loschi fornitori di passaporti falsi e disumani tragitti sui carri bestiame, i mafiosi e gli schiavisti libici e gli infami trafficanti che mettono il timone di un barcone sgangherato in mano a un ragazzo che neppure sa nuotare. Gli spettatori, in definitiva, sono indotti a confrontarsi con archetipi universali e transnazionali, mentre il baricentro narrativo attualistico è sempre collegato con il punto di vista dei ragazzi, più persone che personaggi, che si mantiene limpido e credibile nel suo contesto di realismo magico anche perché il film è parlato nella lingua senegalese wolof e sottotitolato in italiano. Il senso umanistico di pietas, che appartiene peraltro alle basi culturali dell’Occidente così spesso autolesionisticamente bistrattato, è anche il forte appiglio a cui il film ricorre quando, specie nei numerosi sottofinali, gli episodi si susseguono un po’ frettolosamente perdendo in parte la freschezza delle acmi visionarie in cui la rotta intrapresa da Seydou e Moussa vede trasformarsi la sfacciataggine in sfiducia, l’eccitazione in paura e il coraggio in nostalgia.
IO CAPITANO
DRAMMATICO – ITALIA 2023
Un film di Matteo Garrone. Con Seydou Sarr, Moustapha Fall, Issaka Sawagodo, Hichem Yacoubi, Doodou Sagna, Joseph Beddelem