Pubblicato il 20 Settembre 2021 | da Valerio Caprara
0IL SILENZIO GRANDE
Sommario: Il film è ambientato nella Napoli degli anni '60 e racconta la dismissione di Villa Primic, ex lussuosa residenza ora ridotta a dimora fatiscente e tetra. La decisione di vendere l'immobile è stata presa dalla signora Rose e dai suoi due eredi, Massimiliano e Adele, mentre il capofamiglia Valerio non è d'accordo con la sbrigativa decisione dei congiunti. In ogni caso la nuova consapevolezza raggiunta durante le sue riflessioni e gli eventi inerenti alla vendita forse gli consentiranno di capire come vivere non significhi semplicemente essere vivi.
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Ci è voluta, certo, un bel po’ di audacia per misurarsi con un tema dai precedenti custoditi nei piani nobili della cineteca: l’implosione della famiglia tradizionale e dei vincoli di sangue segnati dai tabù societari caratterizza, infatti, non pochi cult movie firmati da maestri (dal classico Bergman all’enfant prodige Dolan passando per la commedia all’italiana di Scola). Nel caso di “Il silenzio grande”, però, Alessandro Gassmann si è riparato in partenza dietro lo scudo del testo teatrale da cui è tratto, l’omonima pièce dello scrittore napoletano su cui è bene premettere che qualsiasi valutazione deve, a costo di provocare travasi di bile, inchinarsi alla legge oggettiva del suo limpido successo epocale. La sceneggiatura, in ogni caso, predispone lo svolgimento di un film pretenzioso, a stento fronteggiato dalla qualità delle recitazioni (Gallo e Confalone svettanti come al solito) e dal meccanismo collaudato dell’ambientazione vagamente pirandelliana-eduardiana, speziata da qualche incursione nel clima fantasmatico caro a Ozpetek e nelle allegre pantomime alla De Crescenzo. Ottimi modelli, certo, ma non ci sembra che il mixage risulti a conti fatti all’altezza delle buone motivazioni e ambizioni dell’opera originaria. Entrando nello specifico, per così dire, filmico si può dire che la (fin troppo) evidente perizia registica è fuori discussione ma che, purtroppo, le situazioni conflittuali e gli impatti generazionali che verranno via via infettati dall’aridità dei fini e l’ignoranza dei valori –o tempora o mores- non suscitano che rade e riciclate emozioni. In particolare la figura centrale del protagonista, scrittore ex alpinista e boxeur alla Erri De Luca, sciorina i suoi rispettabili quanto risaputi dubbi e principi senza fare, in fondo, distinzione tra l’ineffabile controcanto della cameriera grillo parlante e le aspettative del futuro pubblico del film: la prima tiene in piedi le scene più divertenti e qualche scampolo di riflessione meno démodé, ma al secondo resta la convinzione che con siffatto materiale si poteva fare qualcosina in più.