Pubblicato il 6 Febbraio 2017 | da Valerio Caprara
0La battaglia di Hacksaw Ridge
Sommario: Diventato un fervente 'avventista del settimo giorno' e quindi irremovibile nel non volere a nessun costo impugnare un'arma, il giovane campagnolo Desmond Doss si arruola tuttavia nell'esercito Usa e si ritrova sul fronte del Pacifico nel corso del secondo conflitto mondiale. Si coprirà di gloria senza deflettere dal suo credo e le sue regole.
3.8
L’urlo e il furore. Il cinema di guerra, un tempo caposaldo delle platee popolari, viaggia a scartamento ridotto perché incalzato e minacciato dai probi sentimenti pacifisti che amano, però, fare di ogni erba un fascio auspicando di mettere sotto tutela tutte le inclinazioni dell’espressione artistica. Se qualcuno non si è peritato di storcere naso e bocca davanti a “American Sniper” di Clint Eastwood (trovandosi, però, spiazzato al momento di giudicare altri titoli del sommo regista americano vivente), figuriamoci come accoglierà “Il massacro di Hacksaw Ridge” di Mel Gibson, registattore già messo al bando dall’egemonia radical-divistica di Hollywood a causa di una personalità da visionario cristiano esorbitante sino all’autolesionismo. Accusato (magari a ragione, ma qui non interessa) d’essere antisemita, razzista, misogino e alcolizzato, l’autore di “La passione di Cristo” e “Apocalypto” non va certo sul sottile quando si accomoda dietro la macchina da presa e questa sua ricomparsa per nulla penitente tra i candidati meglio piazzati nella prossima corsa agli Oscar ribadisce quanto il suo modo di fare cinema resti un groviglio inestricabile d’ingredienti forti e fortemente antitetici. All’opposto della limpida classicità del vecchio Clint, infatti, la trasposizione gibsoniana della vera storia di un obiettore di coscienza diventato eroe di guerra sul fronte di Okinawa (maggio ’45: undicimila morti americani e centomila giapponesi) esibisce una sincerità così veemente, un’iconografia così brutale, una religiosità così viscerale da renderne impossibile a qualsiasi tipo di spettatore la consueta ‘deglutizione’ indifferente.
Ad uno sguardo obiettivo, insomma, le tre parti che scandiscono la storia di Desmond Doss, avventista del settimo giorno che si rifiuta d’impugnare un’arma, ma da fervente patriota prima vuole arruolarsi a tutti i costi per servire la patria nel secondo conflitto mondiale sfidando le persecuzioni dell’establishment militare e poi si copre di gloria con una sovrumana impresa di supporto ai commilitoni, trasudano nello stesso tempo retorica e patriottismo Usa, culto persino ingenuo del coraggio e dell’abnegazione e denuncia dell’assurdità della guerra. Anche dal punto di vista della costante e convulsa ricerca di una spettacolarità estrema e sconsigliata ai pubblici impressionabili, il cosiddetto “Mad Mel” coniuga alternativamente la magniloquenza dei film di guerra in stile Warner anni Cinquanta alle acmi iperrealistiche raggiunte con poco computer e molti effetti “in camera” sulla scia dei modelli firmati Peckinpah e Spielberg. L’interminabile sequenza del carnaio della collina Maeda che occupa, in pratica, la seconda metà del film rende, così, il corpo a corpo di trincea un golgota dantesco, intriso di una cultura pittorica disomogenea vagamente evocatrice dei dipinti controriformistici fitti di morti raccapriccianti, corpi straziati e sangue dilagante. La mano di Gibson è, dunque, pesante, ma l’effetto sullo schermo è in qualche modo annichilente.
LA BATTAGLIA DI HACKSAW RIDGE
Regia: Mel Gibson
Con: Andrew Garfield, Hugo Weaving, Sam Worthington, Vince Vaughn
Guerra. Australia/Usa 2016