Il Camorrista serie tv
C’erano una volta il gangster e il mafia movie all’italiana. I registi si chiamavano Zampa e Rosi, Squitieri e Damiani, ma c’era anche il filone popolare dei Merola e Mauro ibridato con la sceneggiata. Adesso che fanno testo solo il successo e le diatribe generate dal fenomeno “Gomorra”, diventa estremamente interessante recuperare “Il camorrista”, il film-meteora che segnò l’esordio di Giuseppe Tornatore: nel magma delle offerte in streaming tv sarebbe, in effetti, un peccato farsi sfuggire le 5 puntate dell’omonima serie prodotta da Titanus Production e RTI-Mediaset e distribuita da Minerva Pictures in onda (una puntata a settimana dal 4 marzo al 1 aprile) su Prime Video Channels, The Film Club, TimVision e Apple tv+. Com’è noto il cupo e avvincente affresco tratto nel 1986 dal romanzo di Giuseppe Marrazzo ispirato alle gesta di Raffaele Cutolo, costato circa quattro miliardi di lire, cosceneggiato con Massimo De Rita e diretto dall’allora ventisettenne Tornatore fu sequestrato, pluriquerelato e ritirato dalle sale dopo appena due mesi di distribuzione soprattutto perché il sanguinario boss era vivo e vegeto e a capo di migliaia d’affiliati alla “camorra riformata” e sembrò opportuno che i suoi maneggi criminali e le sue torbide contiguità con istituzioni e terroristi non venissero alla luce. Ben pochi sapevano e quasi nessuno ricordava, però, che Goffredo Lombardo -produttore insieme alla berlusconiana Reteitalia- aveva chiesto al regista siciliano di confezionare, montare e consegnare contemporaneamente al film un’edizione estesa di 5 ore per la tv destinata, per le stesse ragioni, a essere accantonata sine die e poi addirittura smarrita nei magazzini della Titanus. Fortunatamente Tornatore ha accettato di seguire in prima persona il restauro digitale dei negativi ritrovati -comprendente, tra l’altro, la riconversione del suono e l’adeguamento in 16:9 del formato originale 1:33- facendo in modo, così, che la straordinaria intuizione di Lombardo trovi oggi l’ottimale compimento nello standard predominante della fiction mondiale.
Naturalmente i cronisti e gli studiosi esperti dell’argomento -a partire dai colleghi di “Il Mattino”- sapranno valutare al meglio la ricostruzione dell’ascesa e caduta dell’ex nemico pubblico n°1 che non pretende, peraltro di costituire la verità assoluta, bensì una rielaborazione creativa dei fatti accaduti nel passaggio dagli anni Settanta agli Ottanta (anni di piombo e terremoto dell’Irpinia inclusi). Ma in ogni caso per i vecchi e i nuovi spettatori sarà facile scoprire che il film non usurpa la nomea di “Padrino napoletano” grazie a un insieme di fattori rimasti vividi e vincenti a quasi quarant’anni di distanza: dalla luciferina incarnazione di Ben Gazzara nel ruolo di ‘O Professore di Vesuviano, supportata dal magnifico doppiaggio di Mariano Rigillo, ai ritratti dei personaggi scolpiti da Nicola Di Pinto (l’Alfredo Canale braccio armato e martire della cupola cutoliana), Marzio Honorato, Lino Troisi (“’O Malacarne è nu guappo ‘e cartone”), Laura Del Sol e Leo Gullotta, l’antagonista poliziotto fedele alla legge dello Stato (un ruolo la cui assenza in “Gomorra” è stata violentemente criticata); dalla corrusca fotografia di Blasco Giurato alla martellante partitura di Nicola Piovani; dalle sequenze ad alto impatto di rivolte e mattanze a Poggioreale degne dei classici del filone carcerario (su tutti “Il profeta” di Audiard) ai conflitti a fuoco, le retate e il rapimento da parte delle Brigate rosse dell’assessore Dc ricalcato su quello tristemente famoso di Ciro Cirillo. Scenari apocalittici, con deriva finale di follia, di un periodo drammatico della storia di Napoli e d’Italia che corroborano la tradizione nostrana del genere crime/inchiesta e ci rendono nel contempo più attrezzati e consapevoli al cospetto dei nuovi truculenti “romanzi criminali”.