Pubblicato il 11 Maggio 2019 | da Valerio Caprara
0I figli del fiume giallo
Sommario:
2.5
Al di là delle infatuazioni cinefile è notorio quanto sia eloquente e accurato il cinema dei registi cinesi d’inizio millennio. Il più rinomato tra di loro, lo Jia Zhangke di “Still Life” (Leone d’oro a Venezia 2006) e “Il tocco del peccato” (migliore sceneggiatura a Cannes 2013), conferma le sue notevoli doti col suo ultimo film che non è tuttavia immune da difetti e cedimenti: “I figli del fiume giallo” –un titolo da western che in Italia sostituisce l’originale “Ash is Purest White”, la cenere è il bianco più puro- ha, infatti, la forza di cambiare taglio narrativo per tre volte nel corso delle due ore e mezza di durata, ma proprio questa scelta che sa d’ambizione e di coraggio finisce per penalizzarne l’esito. Gremito di evidenti e meno evidenti richiami storici e autobiografici, il percorso circolare della trama parte dal 2001 a Datong, regione dello Shanxi, dove la protagonista Qiao (interpretata dalla musa e moglie dell’autore Zhao Tao) affianca il piccolo boss Bin nella gestione di una bisca affiliata allo “jianghu”, la società di fratellanza criminale che si propone di tutelare per conto della Triade la solidarietà tra emarginati, malavitosi e ribelli. Il colpo di pistola in aria sparato nel corso di uno scontro con una gang rivale le costa cinque anni di carcere, al cui termine la ricerca del compagno nel frattempo scomparso la porterà a un estenuante pellegrinaggio nella remota zona delle Tre Gole sconvolta dalla creazione di un’immensa diga. Niente, però, può rimarginare le ferite del passato in un mondo in continua e tumultuosa trasformazione, tanto da costringere i protagonisti a un rientro a Datong contrassegnato da disabilità morali e materiali.
Tra i meriti di “I figli del fiume giallo” va sottolineato l’ampio respiro poetico che, grazie a un abile procedimento stilistico (il girato comprende riprese in formato eterogeneo amalgamate per restituire la sensazione dei ricordi) viene espresso direttamente dalle psicologie e i comportamenti dei personaggi anziché dagli sfondi paesaggistici impressionanti o suggestivi; come, del resto, la centralità del ruolo della donna viene rafforzata senza didascalie o enfasi, bensì grazie ai sentimenti che si sprigionano a contatto dei tradimenti, i torti e i malanni subiti e la crudele imprevedibilità del destino. Purtroppo nel corso del sottofinale e ancora di più al momento di concludere Zhangke perde il controllo dei fatti, si dilunga troppo e soprattutto finisce per annacquare la suspense romanzesca con una scontata insistenza sui pure inoppugnabili disastri procurati dal rampantismo del capitalismo di stato. Detto in sintesi, il pathos del tempo che fugge e distrugge non meritava d’essere messo in secondo piano rispetto a quello provocato dall’ambiguo rimpianto per una Cina primitiva e pauperistica dove, magari, si stava meglio quando si stava peggio.
I FIGLI DEL FIUME GIALLO
STORICO-MELODRAMMATICO, CINA/FRANCIA/GIAPPONE 2018
Regia di Jia Zhangke. Con: Zhao Tao, Liao Fan, Diao Yinan, Feng Xiaogang