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Giurato numero 2
Sommario: Mentre l’ex alcolizzato Justin e sua moglie attendono l'imminente arrivo del primo figlio, il primo viene sorteggiato come membro della giuria nel processo contro un bruto accusato di avere prima picchiato e poi assassinato la compagna. A mano a mano, però, che le circostanze dell’omicidio vengono ricostruite e vagliate, Justin si ritrova alle prese con una situazione kafkiana...
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Nessun segnale di stanchezza, nessun languore nostalgico, nessun puntiglio ideologico: scandito da un taglio registico classico, terso e conciso “Giurato numero 2” del novantaquattrenne Clint Eastwood è un legal thriller che sprigiona un’estrema coerenza e tiene avvinti senza l’ausilio di trucchi ed effetti. Mentre l’ex alcolizzato Justin (Hoult) e sua moglie attendono con impazienza l’imminente arrivo del loro primo figlio, il futuro padre viene sorteggiato come membro della giuria nel processo contro un bravaccio pesantemente indiziato di avere prima picchiato e poi assassinato la compagna. A mano a mano, però, che le circostanze dell’omicidio vengono ricostruite e vagliate, Justin si ritrova alle prese con una situazione kafkiana… Se Eastwood traduce in suspense realistica una fantasia paranoica per eccellenza, lo fa per declinare ancora una volta una tematica fondamentale del proprio cinema: la necessità di autodifendersi o, più precisamente, di trasgredire la legge per compensare i fallimenti delle istituzioni. Da qui nasce la drammatica spirale in cui Justin anche se non vorrebbe avallare una tragica ingiustizia, non è disposto a farlo a caro prezzo… Il film ha la forza e la classe di non servirsi delle categorie in cui s’imprigionano abitualmente i personaggi: al posto del giochino buoni/cattivi, infatti, mette in piena luce l’istinto del comune cittadino che non sarebbe ostile all’idea e la pratica della giustizia, ma è pronto a mitigarle, modificarle o ribaltarle nel caso vada in crisi il suo rapporto con la società, la legge e la verità stessa. È vero che Eastwood riprende i dilemmi tramandati da alcuni cult-movie, primo fra tutti “La parola ai giurati” di Lumet, ma la sua messinscena coglie con maggiore finezza le contraddizioni del comportamento umano, sfiorando addirittura alla sua maniera ruvida e spontanea certi risvolti dell’universo metafisico dostoevskiano. L’autore è convinto che il Male esista a prescindere dalle contingenze e non ha dunque bisogno di un protagonista puro e onesto alla Henry Fonda, bensì di un individuo fragile e spiacevole, un piccolo Raskolnikov che si strugge per trovare una qualsiasi via d’uscita.