Recensioni

Pubblicato il 31 Marzo 2017 | da Valerio Caprara

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Ghost in the Shell

Ghost in the Shell Valerio Caprara
soggetto e sceneggiatura
regia
interpretazioni
emozioni

Sommario: Ritorna la mitica saga cyberpunk. Johansson all'altezza dei prototipi disegnati.

3.3


Nessuno snobbi la saga solo perché Hollywood la porta sugli schermi in versione blockbuster. Senza azzardarci a stuzzicare la la setta onnisciente degli adepti, si può dare per noto l’elenco di album, film, serie tv, videogiochi generati da “Ghost in the Shell”, il manga di Masamune Shirow pubblicato nel 1989 che ha marchiato indelebilmente il filone fantascientifico cosiddetto cyberpunk tramandando alcuni leitmotiv come la distopia apocalittica, il totalitarismo tecnologico o la dittatura delle multinazionali. L’odierno adattamento non tenta di competere, ovviamente, con questi e altri temerari postulati del cult originario, preferendo estrarne una sinossi che permetta di dare libero sfogo sia alle citazioni dei classici propedeutici -dai due omonimi film d’animazione del mitico Oshii a “Blade Runner”, da “RoboCop” a “eXistenZ”, da “Matrix” a “Minority Report”- sia alle reinvenzioni a carico del regista londinese Sanders. Interessa poco, dunque, la parafrasi della trama che si concentra sull’agente della polizia speciale Maggiore, sopravvissuta a un tremendo incidente, ricostruita ciberneticamente e sguinzagliata sulle tracce di un hacker che minaccia la sicurezza dello Stato. Tra un’acrobatica azione e l’altra, però, l’eroina si accorgerà che le strategie delle gerarchie scientifico-militari non sono quelle che sembrano e soprattutto che lei stessa potrebbe essere il tramite di una mostruosa macchinazione.

L’aspetto migliore del film sta nella riproposta, grazie all’ormai acclarata onnipotenza degli effetti digitali (vedere per credere la rinascita del mito nello sbalorditivo prologo), dell’inestinguibile fascinazione per l’ibridazione tra l’uomo e la macchina nata col Golem e Frankenstein: invece d’imbastire un duello, a questo punto superfluo tra visioni giapponesi e americane, è corroborante oltre che divertente assistere a una riflessione semplificata ma tutt’altro che banale sul concetto d’intelligenza oggi pour cause sempre più artificiale e sull’infinitamente piccolo dello schermo dei pc tendente a diventare l’universo sintetico in cui la nostra personalità disincarnata è assorbita da quello virtuale degli hard disk. Discorso a parte per la Johansson che continua a prodursi in performance che vieppiù la trasformano in perfetta incarnazione di quello che il filosofo Perniola definì il sex-appeal dell’inorganico: già corpo extraterrestre killer di umani (“Under the Skin”), corpo-voce (“Lei” v.o.), corpo-cervello (”Lucy”), corpo opacizzato eppure capace di leggere i pensieri altrui (“Avengers: Age of Ultron”), qui l’agilità “pixelizzata” dei suoi movimenti unita all’espressione triste, vagamente sconnessa ma sempre determinata riproducono i canoni estetici ed etici dei manga come non era stato fatto mai.

GHOST IN THE SHELL

Regia: Rupert Sanders

Con: Scarlett Johansson, Pilou Asbaek, Takeshi Kitano, Juliette Binoche, Michael Pitt

Fantathriller. Usa 2017

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