Pubblicato il 22 Dicembre 2016 | da Valerio Caprara
0Florence
Sommario: L'ultimo anno di vita di Florence Foster Jenkins, ereditiera che riuscì a farsi credere un'ineguagliabile soprano e a svettare dagli anni Dieci ai Quaranta del secolo scorso sulle scene americane pur essendo del tutto sprovvista di talento. Il grande bluff fu possibile grazie ai suoi soldi, i maneggi del marito-agente e l'ambigua complicità del jet set.
2.8
Non è che ci procuri molte gioie, ma la categoria dei film medi di buon artigianato è assai utile per ridurre il nefasto gap tra cinema (presunto) d’autore e cinema (presunto) d’evasione. Specie se –come nel caso di “Florence”- il cast funziona particolarmente bene mettendo in sordina la prevalenza nella messinscena dell’accuratezza di mestiere sulla creatività e lo stile. Il personaggio clou del film di un regista multistandard come Frears, vale a dire la soprano statunitense Florence Foster Jenkins, incarna, in effetti, ancora oggi una sorta di mito a rovescio per i musicofili: ereditiera classe 1868, dopo avere visto svanire il sogno di diventare pianista volle a tutti i costi, nonostante non ne avesse i requisiti minimi, intraprendere la carriera di cantante lirica e iniziò a esibirsi nei recital a partire dal 1912. Testarda ed eccentrica, riuscì per oltre trent’anni a radunare attorno al circolo “The Verdi Club” da lei fondato e sovvenzionato un giro di veri e propri adepti che, inconsapevoli o incuranti della sua clamorosa mancanza di talento, invocarono a lungo e ottennero il suggello di una (catastrofica) esibizione nel ‘sancta sanctorum’ della newyorkese Carnegie Hall.
Un biopic affine anche se meno fedele, “Marguerite” di Giannoli passato due anni orsono alla Mostra di Venezia, sottoponeva a una sorta di requisitoria il velleitarismo del bizzarro personaggio, mentre in questo film poco straordinario, ma molto piacevole Frears tiene a mantenere una certa distanza nei confronti dei fatti senza ricorrere né a una chiara empatia né a un aspro sarcasmo. Affidandosi, invece, alla solida sceneggiatura concentrata nel cruciale 1944, utilizzando al meglio il cinemascope e servendosi di metafore alquanto facili (l’incontinente passione per la musica è per la donna la perfetta alternativa al sesso inibitole dalla sifilide contratta dal primo marito), la sensazione di una certa irrilevanza viene moderata valorizzando le superbe performance del cast; in primis della Streep che non ha più bisogno di aggettivi e si conferma maestra del trasformismo maniacale (nella versione originale canta anche in maniera orridamente stonata, mentre notoriamente ha una bella voce e sa come sfruttarla), poi dell’ormai maturo Grant che, superato il periodo di appannamento, è nuovamente irresistibile nel ruolo dell’attore inglese fallito Saint-Clair, il secondo marito/agente/amministratore che foraggia l’entusiasmo degli ammiratori per lo più membri del jet set, ottiene subdolamente il lasciapassare dei critici e si gode con i soldi di Florence la giovane compagna con cui in realtà vive e infine del formidabile Helberg ovvero il minuscolo e stralunato compositore che accompagna al piano la diva. La chiave del fraintendimento, oggi diremmo mediatico, del mistero buffo alla fine non è girata sino in fondo (la Jenkins ci era o ci faceva?), però forse si potrebbe oliarla grazie alla battuta attribuitale poco prima della morte: “La gente potrà dire che non sapevo cantare, ma nessuno potrà dire che non ho mai cantato”.
FLORENCE
Regia: Stephen Frears
Con: Meryl Streep, Hugh Grant, Simon Helberg, Rebecca Ferguson
Commedia biografica – Gran Bretagna 2016