Pubblicato il 23 Febbraio 2018 | da Valerio Caprara
0Figlia mia
Sommario: Arcaica Sardegna. Una bambina decenne è contesa dalla madre biologica e da quella adottiva. La donna alcolizzata, sfatta e promiscua che l'ha abbandonata rivendica a giusta ragione, in fondo, gli stessi diritti di quella protettiva, comprensiva ed equilibrata presso cui è cresciuta.
1.5
Certo fa piacere che al festival, tutt’ora in corso, di Berlino un film italiano sia stato accolto con grande favore. Ma, sorvolando sul fatto che spesso in simili occasioni il contesto promuove una forma mentis talebana, bisogna pure fare i conti col “respiro” di un film destinato anche a confrontarsi col pubblico delle sale sottocasa. “Figlia mia” è, in effetti, l’opera seconda di Laura Bispuri che nel precedente “Vergine giurata” di tre anni orsono si distinse per il pedinamento fisico, ossessivo, ansiogeno a cui la cinepresa assoggettava i personaggi o sarebbe meglio dire, considerando la trama pressoché totalmente incentrata sull’interpretazione di Alba Rohrwacher, “il” personaggio. La stessa attrice è una delle due protagoniste di “Figlia mia”, saldamente attestato sul fronte dell’esplorazione di una femminilità svincolata dalle ordinarie identità patriarcali: in una remota località della Sardegna, per la verità alquanto ininfluente sul piano drammaturgico, una bambina decenne dai capelli arancione scopre di avere due madri. Quella biologica, appunto la Rohrwacher -sin troppo a suo agio nel ruolo che le affibbiano quasi per contratto di donna ubriacona, sfatta, lasciva, sciamannata- l’ha, infatti, affidata a un’amica, interpretata da Valeria Golino, bella, saggia e dotata di un look levigato che, al contrario, risulta inverosimile per la parte; dopo anni di questo snaturato scambio, però, ciascuna donna inizierà a rivendicare con determinazione i propri diritti materni.
La Bispuri e l’affiatata sceneggiatrice Francesca Manieri neppure tentano di mitigare il loro approccio stilistico radicale ampiamente riferibile all’ideologia del gender e, come per “Vergine giurata”, fanno in modo che il racconto fluisca nei lunghi pianisequenza, s’immerga in una fotografia ipersaturata francamente superflua e agisca quasi esclusivamente attraverso la struttura tripartita dei punti di vista, i comportamenti, i corpi e le emozioni delle protagoniste. Il guaio è che, secondo noi, il rigore programmatico s’inaridisce presto in formula e la propulsione poetica in metafora banale, come dimostra, per fare un solo esempio, la spaccatura rocciosa da cui entra ed esce la bambina, sorta di vagina fautrice della rinascita simbolica da una duplice madre. Particolarmente discordante rispetto alla purezza di sguardo e di pensiero a cui il film aspira risulta, inoltre, l’accluso catalogo di abusate situazioni neo-neorealistiche e le solite reprimende moralistiche indirizzate alla Cattiva Società, senza contare che gli uomini recitano per sembrare più repulsivi di quanto occorra e persino i bambini risultano per una volta artificiosi e impostati. Il jolly di “Figlia mia” sta nell’orgoglioso escamotage finale di non dare ragione a nessuno. Una soluzione troppo facile persino per una cineasta nemica dichiarata delle “trovate a effetto all’americana”?
FIGLIA MIA
Regia: Laura Bispuri
Con: Valeria Golino, Alba Rohrwacher, Sara Casu, Michele Carboni
Genere: drammatico. Italia 2018