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Dadapolis
Sommario:
2.7
Al momento della sovresposizione trendy del cinema definito con approssimazione “napoletano”, è opportuno segnalare che stanno ottenendo dappertutto un rilevante successo le proiezioni speciali di “Dadapolis”, l’antologia audiovisiva di Carlo Luglio e Fabio Gargano che sulla scia dell’evergreen letterario di Ramondino e Muller si propone il compito di aggiustare il tiro sulla città servendosi dell’estro, il talento e il pathos di sessanta artisti che vivono e lavorano tra l’Italia e l’estero. Il docufilm, dettaglio non secondario, risulta doppiamente coinvolgente perché è dedicato ai prematuramente scomparsi e rimpianti Enzo Moscato e Gaetano Di Vaio, la cui benemerita società Bronx non a caso ne è la coproduttrice insieme alla Movies Event. Il sottotitolo “caleidoscopio napoletano” rende bene l’idea dell’approccio utilizzato dai due versatili e agguerriti cineasti rendendolo ai nostri occhi coraggioso sia perché non opera alcuna gerarchia di genere, sia perché non si rifugia nell’abituale bunker dell’agiografia patriottica: nel corso degli ottantadue minuti di proiezione, in effetti, le performance s’alternano alle canzoni e le opere d’arte ai dialoghi riuscendo a sondare con fluidità e pertinenza le trasformazioni che il genius loci registra e rinnova incessantemente tra eredità secolari ed emergenze inedite, bellezze abbaglianti e degradi umilianti. Un controcanto poetico all’aridità di certa sociologia e certa cronaca che non fa che rispettare, del resto, lo slancio generoso degli artisti chiamati ad esprimere le proprie sensazioni in totale libertà, senza piegarsi, cioè, ad alcuna costrizione ideale o peggio ideologica. Succede così che la famigerata quanto inafferrabile anima della città si svela e si nasconde, s’impregna e si disperde nella singolarità creativa dei testimoni/interpreti, il cui minuzioso elenco finirebbe per rendere farraginoso il percorso degli spettatori destinati a provare, al contrario, sentimenti di sintonia o stupore, conferma o stravolgimento, adesione o dissociazione… È inevitabile e, in fondo, accortamente previsto che stimolino maggiore attenzione reattiva l’espressione, i concetti e la voce di Senese o Lanzetta, Donadio o Mauro, Taiuti o lo stesso Moscato rispetto a qualche altro interlocutore apparentemente superfluo, ma ciò che conta alla fine è accorgersi di come l’opera e lo sguardo di ciascuno di loro partano da Napoli, metabolizzino la sua multiforme cultura e le sue laceranti contraddizioni arrivando, così, a oltrepassarla per potersi affacciarsi sul mondo intero, proprio quel “pianeta inabitabile”, come lo definì la Ramondino “eppure l’unico dove per ora possiamo star di casa”.