Pubblicato il 22 Marzo 2024 | da Valerio Caprara
0Commento Oscar 2024
Di solito gli Oscar sono vincenti perché in un modo o nell’altro fanno effetto anche su coloro che del cinema non s’interessano per niente. Però la premessa dell’edizione 2024 è che gli spettatori consapevoli sono aumentati dappertutto e si riscontra una diffusa familiarità con molti film che si sono contesi i premi dell’Academy: per una volta, insomma, le considerazioni su vincitori e vinti sfuggono all’egemonia dei veri o presunti esperti. “Oppenheimer”, per esempio, alla ribalta grazie alle sette rilevanti statuette non è tuttavia il dominatore assoluto, perché nella serata super glamour è stato contrastato da titoli che hanno fatto e fanno discutere i non specializzati anche in Italia come “Povere creature!” dell’ex beniamino di cineclub e festival Lanthimos e “La zona d’interesse” del sin troppo algido Glazer già autore rinomato nel campo pubblicitario e dei videoclip musicali. Per quanto riguarda il kolossal su uno stralcio biografico della tormentata esistenza del fisico nucleare considerato l’inventore della bomba atomica, la potenza dell’impaginazione spettacolare -secondo noi considerevole ma non scevra di luoghi comuni e semplificazioni- conta meno dell’assunzione nell’empireo autoriale di Christopher Nolan, in precedenza ridicolmente snobbato nonostante o forse proprio a causa dell’essere annoverato tra i detentori dei maggiori incassi della storia del cinema, idolatrato dal pubblico mondiale per la la trilogia di “Batman – Il cavaliere oscuro” e una serie di formidabili film di genere da “Memento” e “Insomnia” a “Inception” e “Dunkirk. Finalmente trattato come cineasta a tutto tondo, il regista e sceneggiatore londinese classe ’70 ha valorizzato e spinto sul podio sia i principali collaboratori tecnici del film, sia attori del calibro di Cillian Murphy e Robert Downey Jr., entrambi alla prima vittoria agli Oscar a dispetto rispettivamente del passato da comprimario e dell’identikit da artista maledetto. Per conto suo Lanthimos con “Povere creature!” ha sfruttato al di là dei suoi non pochi meriti -dalla fantasia visionaria ai costumi super estrosi e gli effetti illusionistici- una sfrontata e sfrenata apologia della sessualità femminile “liberata” oggi di sicuro impatto, la stessa che ha portato la Stone a diventare per la seconda volta, a soli 35 anni e contro fortissime concorrenti come la Gladstone di “Killers of the Flower Moon” e la Huller di “Anatomia di una caduta” la migliore attrice protagonista. La recente quanto corriva abitudine delle preferenze assegnate dai diecimila votanti delle corporazioni cinematografiche d’oltreoceano ai titoli portabandiera del politicamente corretto si è dunque, risparmiata gli straordinari e le soluzioni più grottesche, mentre la mecca del cinema sembra al momento più disposta ad aprirsi al cinema internazionale. Lo dimostrano, a parte l’exploit di Glazer, gli Oscar attribuiti alla sceneggiatura originale di “Anatomia di una caduta” firmata dalla coppia antagonista francese Triet-Harari, al capolavoro “Il ragazzo e l’airone” dell’ottuagenario maestro dell’animazione Miyazaki e -dettaglio che rappresenta un vero scoop- agli effetti visivi che hanno visto svettare “Godzilla Minus One” di Yamazaki, film di fanta-azione proseguimento della saga di Godzilla iniziata addirittura nel ’54 distribuito in Italia dalla benemerita Nexo Digital e prodotto dalla casa di produzione nipponica Toho Studios assai meno faraonica delle similari aziende dell’industria americana. Non ci sarà, in conclusione, materiale sufficiente per le baruffe cinefile, però è necessario ribadire che la statuetta della migliore sceneggiatura non originale andata alla sulfurea tragicommedia “American Fiction” per noi è la più meritata perché include uno geniale sberleffo ai tic e gli opportunismi abitualmente nascosti sotto il tappeto (rosso) della stessa cerimonia losangelese.