Pubblicato il 15 Luglio 2023 | da Valerio Caprara
0Come pecore in mezzo ai lupi
Sommario: Vera, poliziotta solitaria e indurita infiltrata in una banda di criminali serbi, scopre che tra i reclutati per un’imminente e temeraria rapina c'è anche il fratello
2.8
Filippo Gravino, sceneggiatore non solo abile ma anche dotato di acutezza psicologica non comune, ha scritto un thriller nero pece perfetto per l’esordio nel lungometraggio di Lyda Patitucci, collaudata regista di seconda unità in forza alla Groenlandia, la factory di Rovere e Sibilia (n°1 della produzione italiana con vista sul futuro). In “Come pecore in mezzo ai lupi” spicca innanzitutto una straordinaria Isabella Ragonese alias Vera, sbirra infiltrata in una banda di criminali ben più tosta e ulcerata (sguardo duro, cicatrice, felpa col cappuccio e un motto inequivocabile: “sono felice solo quando lavoro” in assonanza con la Clarice/Jodie Foster di “Il silenzio degli innocenti”) delle attrici protagoniste delle blande e sterilizzate fiction tv alla moda: il rischioso doppio gioco connaturato al ruolo subisce un ulteriore trauma quando tra i reclutati per un’eclatante rapina spunta il fratello Bruno (Arcangeli) piccolo malfattore con bambina a carico. Non tutte le diramazioni narrative sono percorse sino in fondo –per esempio quelle dedicate al boss e il padre, entrambi adepti di una religiosità distorta- ma la credibilità è assoluta, il ritmo stringato, le atmosfere romane insolite, minacciose e opprimenti, le scene d’azione impeccabili. Per come è a suo agio nel declinare il linguaggio dei corpi, delle espressioni e dei gesti su una sapiente scala di campi lunghi, medi e stretti, la Patitucci potrebbe anche candidarsi a diventare la Kathryn Bigelow italiana.