Cinemarcord

Pubblicato il 1 Ottobre 2020 | da Giuseppe Cozzolino

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CINEMARCORD: “Dieci Piccoli Indiani”(1945)

 

(A cura di Giuseppe Cozzolino e Andrea Coco)

Una rievocazione della prima, celebre trasposizione cinematografica del romanzo di Agatha Christie, opera cardine sul tema dei delitti della camera chiusa

 

Una villa costruita su un’isola, dieci persone che non si conoscono, un misterioso Padrone di Casa (Mr. Owen) che le attira e le invita a trascorrere con lui il weekend in quella remota località. Ma Owen tarda ad arrivare mentre, uno dopo l’altro, seguendo l’ordine stabilito dalla filastrocca “Dieci piccoli indiani”, gli ospiti passano a miglior vita.

All’inizio gli occupanti pensano a un suicidio, una bevanda avvelenata, poi a una disgrazia, una dose eccessiva di sonnifero, ma al terzo luttuoso evento, un coltello piantato nella schiena, i sette superstiti non hanno più dubbi: Mr. Owen li vuole tutti morti: li ha accusati di essere degli assassini impuniti e intende fare giustizia a modo suo.

“Dieci Piccoli indiani” (in origine “Ten Little Niggers”) è una delle opere più famose di Agatha Christie, pubblicata nel 1939, il romanzo che meglio di altri rappresenta “i delitti della camera chiusa” ovvero storie dove gli omicidi avvengono in un luogo circoscritto e l’assassino deve necessariamente essere uno dei presenti.

Altra caratteristica di questo sottogenere è il colpo di scena finale, rappresentato da una conclusione diversa da quella del giallo classico. Il romanzo, anziché finire con lo smascheramento dell’assassino e la sua consegna alla giustizia, termina con la morte di tutti i protagonisti. Il reale svolgimento dei fatti viene rivelato alla fine del libro da quattro testi manoscritti: i diari di Vera Claythorne ed Emily Brent, il taccuino di Blore e un messaggio depositato in una bottiglia, una confessione scritta dall’assassino.

Inevitabile la trasposizione cinematografica – dopo quella teatrale – di un romanzo di tale successo, ad opera del regista francese René Clair in trasferta ad Hollywood (1945).

Rispetto al libro, tuttavia lo sceneggiatore Dudley Nichols sceglie di utilizzare un finale diverso, quello scritto nel 1943 dalla stessa Christie per l’adattamento teatrale, più in linea con i gusti del cinema americano e, più attraente per il pubblico per la sua linearità nello svolgimento del plot.

Oltre ad un budget consistente, il film ha beneficiato di un cast di tutto rispetto, composto da Premi Oscar come Barry Fitzgerald (miglior attore non protagonista ne La mia via) e Louis Hayward (per la regia del documentario With the Marines at Tarawa), mentre Walter Huston ne avrebbe ricevuto uno nel 1949 per Il tesoro della Sierra Madre. E per non parlare degli interpreti semplicemente candidati come Judith Anderson in Rebecca, La prima moglie (1941) e Misha Auer per L’impareggiabile Godfrey (1936).

Rispetto all’opera letteraria, Rene Clair realizza una pellicola dai toni meno cupi, con una storia d’amore tra due protagonisti (Philip Lombard e Vera Claythorne) e al posto dello stile raffinatamente crudele della scrittrice, utilizza un tono più virato verso il giallorosa. Niente di zuccheroso però, ma divertenti quanto raggelanti battute dal significato ambivalente – basti pensare al titolo del disco “il canto del cigno” con il quale Mr. Owen condanna a morte i dieci invitati -, un modo per rendere più accettabile, in chiave ironica, uno storia decisamente drammatica.

Il non detto viene raccontato dalle inquadrature e dai movimenti della macchina da presa. I numerosi primi piani che servono a mostrare i sentimenti dei protagonisti, come nella scena iniziale dove sono presentati al pubblico, tratteggiandone il carattere psicologico. I dettagli come la mano che impugna un coltello, senza tuttavia poter scorgere il volto dell’assassino, oppure le riprese in totale dove si vedono i protagonisti spiarsi l’altro senza che ognuno sia consapevole di essere osservato.

Un ruolo importante lo giocano, infine, gli effetti sonori: il rumore costante del mare e del vento, che rammenta al pubblico lo status di prigioniero dei protagonisti, e la musica, in particolare la canzone “Dieci piccoli indiani”, utilizzata ogni volta che avviene un omicidio e fischiettata allegramente dall’assassino.

Pur con il dovuto rispetto per gli adattamenti successivi (ricordiamo almeno la versione Anni 60 firmata da George Pollock, con Shirley Eaton ed Hugh O’Brian, e quella Anni 70 di Peter Collinson, con Elke Sommer ed Oliver Reed), quella di Clair resta indubbiamente la migliore, perfettamente curata sotto il profilo della sceneggiatura, regia e scenografia, un riuscitissimo mix di suspense e ironia.

 

 

DIECI PICCOLI INDIANI

TITOLO ORIGINALE: And Then There Were None (1945, USA,97 MIN)

REGIA: René Clair

SOGGETTO: Agatha Christie

SCENEGGIATURA: Dudley Nichols

FOTOGRAFIA: Lucien N. Andriot

MUSICHE: Mario Castelnuovo-Tedesco

INTERPRETI PRINCIPALI: Barry Fitzgerald (Giudice Quinncannon), Walter Huston (Dott. Armstrong), Louis Hayward (Philip Lombard/Charles Morlain), June Duprez (Vera Claythorne), Roland Young (Detective William Henry Blore), Richard Haydn (Thomas Rogers), Judith Anderson (Emily Brent), C. Aubrey Smith (generale Sir John Mandrake), Mischa Auer (principeStarloff), Queenie Leonard (Ethel Rogers), Harry Thurston (Fred Narracott).

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