Pubblicato il 22 Settembre 2016 | da Valerio Caprara
0Bridget Jones’s Baby
Sommario: L'antieroina letteraria e cinematografica Bridget, già definita la single più famosa d'Inghilterra, a 43 anni deve fare i conti con il cosiddetto orologio biologico. In ansiogena attesa del baby ne combina di cotte e di crude tra i consigli di mammà, amanti candidati padri e un'ineffabile ginecologa.
1.5
Il primo capitolo è datato 2001 e il secondo 2004, ma non crediamo che in questi dodici anni si sia avvertita una grande mancanza dell’eroina più irrilevante del cinema contemporaneo. Con tutto l’ovvio rispetto che meritano i film masscult tratti dai libri midcult, infatti, il personaggio di Bridget Jones secondo noi tramanda una dose di vacuità ancora maggiore di quella proposta dalle sue tragicomiche peripezie: incarnata per la verità a puntino dalla romantico-imbranata Zellweger, la single più famosa d’Inghilterra ha infatti esplorato quasi tutte le canoniche dinamiche femminili senza, peraltro, mai azzardare un passettino oltre i confini della blanda autoironia e le idee correnti. Se qualcuno avesse sperato in una svolta –che diavolo, se non la regista Maguire, almeno una sceneggiatrice del livello di Emma Thompson dovrebbe conoscere a memoria la serie “Sex and the City”- dovrà, invece, accontentarsi di un frizzante aggiornamento calibrato sulle quarantatré primavere esibite dalla protagonista a tutto ritmo e tutto schermo. Lasciando da parte le polemiche sull’aspetto dell’attrice che qualche malcapitato recensore d’oltreoceano (subito tacciato di sessismo) ha ritenuto travisato dalla chirurgia estetica, si evince già dal titolo “Bridget Jones’s Baby” che l’argomento all’ordine del giorno è il cosiddetto orologio biologico, il cui impertinente trillo avviserebbe a un certo punto tante impavide signore e signorine odierne che non è più possibile procrastinare la fabbrica di un figlio.
Succede, però, che Bridget, adesso top manager di un canale tv, non faccia che variare con il bilancino le fissazioni di routine, confrontandosi per di più con dei coprotagonisti che non spargono abbastanza pepe sul problematico rapporto con quanto c’è di vecchio e nuovo nella sua, in fondo confortevole, esistenza: se l’irresistibile Grant è stato fatto morire e uno sposato-inamidato Firth ne ha preso efficacemente il posto, l’aitante-amante americano Dempsey non sprigiona la necessaria overdose di fascino e il vero partner della futura mamma sembra curiosamente diventato la ginecologa interpretata dalla stakanovista Thompson. Magari non è il caso d’insistere troppo sull’inconsistenza dei discorsetti che aleggiano sul tema delle primipare attempate, anche perché è facile prevedere che le risate, specie da parte del pubblico femminile, scrosceranno a più riprese in sala: da questo punto di vista si potrebbe chiosare che le battute, specie quelle sboccate, prevalgono decisamente sull’impianto narrativo e il coraggio di sporcarsi le mani nel registro comico riscatta in qualche modo i languidi ingredienti da soap opera.
BRIDGET JONES’S BABY
Regia: Sharon Maguire
Con: Renée Zellweger, Colin Firth, Patrick Dempsey
Commedia. Gran Bretagna/Usa 2016