Articoli

Pubblicato il 7 Febbraio 2016 | da Valerio Caprara

0

“Bella e perduta” vince a Goteborg

Non sarà una buona notizia per gli apocalittici incalliti, eppure il premio conquistato sabato scorso dal film del casertano Pietro Marcello al 39° festival di Goteborg, dimostra che non è forse il caso di cospargersi per principio il capo di cenere. “Bella e perduta”, già in concorso a Locarno e presentato in numerosi festival internazionali ha vinto, infatti, l’Ingmar Bergman Award confortando, oltre il regista, il co-sceneggiatore Maurizio Braucci e la produttrice e montatrice Sara Fgaier, i numerosi estimatori italiani sparsi, per la verità, in un frastagliato panorama di adepti del cinema anti-narrativo e ostile alla produzione mainstream. La motivazione della giuria, peraltro, non fa che confermare –al di là della notoria fascinazione provata dai Fort Apache dell’”autorialità” nei confronti delle opere sentite come eversive ed “esotiche”- i punti salienti di un’operazione certo imbastita con una coerenza non comune: “… per la splendida visione elegiaca del film, la sua generosità di spirito, la capacità di riaccendere la nostra fede nell’umanità in questi tempi di cinismo e di aggiornare il cinema”. Per il lettore e lo spettatore che non abbiano avuto l’occasione d’individuare in “Bella e perduta” (titolo allusivo di un saggio sul Risorgimento dello storico marxista Lucio Villari) nelle ristrette corsie della distribuzione, ricordiamo che si tratta di un’estrosa fiaba contemporanea sviluppata a partire dal dolore e lo sdegno provocati dalle vicissitudini della Terra dei fuochi e del Real Sito di Carditello in particolare: l’asse portante del Pulcinella interpretato da Sergio Vitolo –“inviato” nell’odierna Campania per esaudire le ultime volontà del pastore Tommaso Cestrone (figura reale di paladino popolare morto d’infarto nel 2013 ad appena 48 anni) che si prendeva cura della residenza borbonica abbandonata al degrado- punta su registri stilistici svarianti tra l‘arditezza sperimentale (Pasolini, Bresson, Bene e chi più ne ha più ne citi…), gli alti riferimenti alla cultura napoletana (“La cantata dei pastori”) e gli inserti etnografici con tanto di spezzoni filmati delle antiche tradizioni pastorizie locali.

A Goteborg, dunque, Marcello ha trovato piena rispondenza ai cardini teorici sui quali ha inteso edificare un vero e proprio poema civile: “E’ un film sui sentimenti dei semplici, sulle ingiustizie e sul rapporto tra uomo e natura. Siamo fieri di questo film perché possiede un’anima, non per nostro merito ma per l’energia intrinseca che detiene, per la sua umanità e per l’alchimia del paesaggio”. Su questo punto, in effetti, è difficile dargli torto perché l’autore di “Il passaggio della linea” e “La bocca del lupo”, che ha dichiarato d’essersi sentito ispirato da Guido Piovene e il suo “Viaggio in Italia” e soprattutto dallo sguardo panteistico attivo nei romanzi di Anna Maria Ortese, ha privilegiato nel corso del viaggio allegorico la fisicità dei volti e dei corpi, la forza muta eppure prepotente dei “pensieri” degli animali e delle piante, la ferocia dei vivi e la malinconica saggezza dei morti. Non a caso il suo Pulcinella, tutt’altro che clownesco, perde l’immortalità quando si rivelerà come ‘revenant’, il reincarnato interprete dell’eroe ambiguo e ribelle discendente dalla figura greca dello Psicopompo, bianco come il sudario anticamente avvolto sui morti e nero come la maschera applicata al cadavere la notte prima dei funerali. Al nucleo drammaturgico Marcello ha aggiunto, con l’evidente risultato di affascinare ancora di più il consesso degli specialisti di Goteborg, il segno distintivo –“alchemico” come lo definisce lui- di rinnegare il digitale e, anzi, di usare vecchi stock di pellicola scaduta in cui i colori e i contrasti fossero in grado di produrre effetti spiazzanti e imprevedibili. Non sappiamo dire se tale “sapiente naiveté” sia stata studiata a freddo o scaturita da un’autentica vocazione al frammentario, l’eterogeneo, il caotico, termini ormai connaturati a un paese, l’Italia, che percepisce come sradicato dalla sua purezza identitaria. Se comunque è chiaro che pittura e letteratura contribuiscono alla caratura delle immagini e non ci sarebbe alcun bisogno di convocare a mo’ di garanti i classici nomi da enciclopedia (Hackert, Camus, Leopardi), meno suggestive sono le teorie che Marcello porta avanti presentando il film. Un discorso che forse avrà affascinato i giurati del festival, ma che sembra un tantino ingarbugliarsi sulla storia del cinema italiano e soprattutto sul mito del neorealismo (che, com’è noto, fu tutt’altro che basato esclusivamente sulla realtà prelevata senza filtri dalla strada), nonché su quella della televisione banalmente riassunta dal conflitto tra il suo linguaggio “aberrante” e quello “ineffabile” del grande schermo. Resta il dato di fatto che l’affermazione di un giovane fuori standard rappresenta un colpo di frusta impartito alle forze ancora impigrite o inespresse del nostro cinema.

Condividi su
Share

Tags: , ,




Torna su ↑
  • Old Movies Project

    Old Movies Project
  • Film Commission

    Film Commission
  • Archivi

  • Facebook

  • Ultimi Video – Five – Fanpage

  • Ultimi Tweet

  • Link amici