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Pubblicato il 5 Settembre 2016 | da Valerio Caprara

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Appunti da Venezia 2016: “The Young Pope”

E’ probabile che mentre i festivalieri stanno arrovellandosi sui contenuti e persino sul messaggio (!) estraibili dai primi due episodi della serie “The Young Pope”, Paolo Sorrentino sia già più avanti, libero e insieme prigioniero della sua magnifica ossessione. Il cinema, semplicemente, senza puntini sospensivi esoterici né punti esclamativi reboanti. Non c’è bisogno di premettere, infatti, che il regista non ha tenuto in gran conto la differenza (ormai sempre meno significativa) tra un film per le sale e una serie per la tv, grazie alla straordinaria capacità di tradurre soggetto e sceneggiatura in un tuttotondo sontuoso e ipnotizzante che propone suspense, sarcasmo, soluzioni stilistiche preziose, squarci visionari e congetture sacre e profane sull’inevitabile conflitto riscontrabile tra la missione di sommo pastore della Chiesa cattolica e le ragioni dell’uomo in carne e ossa che lo Spirito Santo e/o altri meccanismi meno ineffabili hanno designato come Papa.
Bisogna attendere la messa in onda integrale che inizierà il 21 ottobre su Sky Atlantic per consolidarne una valutazione solida; cercando, però, di arginare per quanto ci riesca l’abuso degli aggettivi che nel caso di Sorrentino diventano –come succede quando s’esprimono i poeti- pleonastici all’istante, siamo convinti che raramente l’odierno spettatore (qualsiasi spettatore e non solo il cinechierico) sia messo in grado di provare una gamma di emozioni parimenti piena, acuta, insinuante, cruda e nello stesso tempo disinvolta e divertente.
L’ascesa al soglio pontificio del primo Papa americano della storia (Lenny Belardo alias Pio XIII) viene inaugurata come in trance, con un corpo giovane, atletico, elegante che emerge da un groviglio modello body-art di neonati senza vita: ecco, dunque, una “vita” interiore ri-nascente pronta a misurarsi con la vertigine di una Santità così profonda da risultare insopportabile, ma anche con il potere secolare di uno stato che non possiede eserciti –come disse sprezzantemente l’arcinemico Stalin- ma muove e motiva milioni di persone nell’esclusivo segno di una fede (forse) indiscutibile. Col suo stile raffinato eppure non pretenzioso –le inquadrature e le sequenze inseguono un principio di necessità e poco importa se quest’ultimo a volte si riveli un pizzico ridondante o in sospetto di compiacimento- Sorrentino consente a Jude Law di scolpire una figura superbamente ambigua e contraddittoria e agli altri personaggi-chiave di contribuire a intensificare il leitmotiv dei dialoghi, i gesti, i pensieri e le azioni che in una sorta di (tragi)comico, incessante tourbillon confermano e subito dopo negano la presenza di Dio, la forza delle tentazioni, la necessità del comando e il dovere dell’obbedienza, l’ebbrezza dei beni materiali e la loro abiura in nome dell’amore verso il prossimo.
In particolare, accanto al ciclopico neo-papa (niente a che vedere con lo scolastico paziente freudiano di Moretti) che per molti sarà di corsa etichettato come conservatore e reazionario, ma in realtà è ideologicamente e moralmente duro e puro come un leader nazista, comunista o islamico, giganteggia Silvio Orlando nella parte del colto e navigato Cardinale napoletano e napoletanista Voiello, inafferrabile, astuto e letale come il suo idolo calcistico Higuaìn; il cui recente e reale tradimento con tanto di passaggio a un antagonista demoniaco non ha inficiato neanche un po’ la presa e la grinta di “The Young Pope” proprio perché specchio involontario della biblica traiettoria di Lucifero.
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