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Pubblicato il 10 Febbraio 2018 | da Valerio Caprara

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Antologia a puntate. “Chiamami col tuo nome” in excelsis

GUADAGNINATE. TESORO, HAI VISTO IL MIO HEPTAMÉRON? 

Francamente avevo annotato la battuta un po’ ridicola, ma poi m’ero dimenticato di citarla nello scrivere la recensione di “Chiamami col tuo nome”. Ci ha pensato l’amico Luca Mastrantonio in una breve recensione su “7”. Che conclude così. «Frase cult: “Tesoro, hai visto il mio Heptaméron”?». Mi pare che nel film sia la colta signora Perlman a chiederlo all’altrettanto colto marito che è un professore di cultura greca e romana. Guadagnino è fatto così. I due padroni di casa mica leggono riviste o romanzi gialli nella calura estiva dalle parti di Crema. No: si contendono proprio l’Heptaméron. Che è, per chi non sapesse, una raccolta di 72 novelle scritte in francese dalla regina di Navarra, Margherita d’Angoulême. Il libro fu scritto da Margherita per divertimento personale, alla maniera del Decamerone, restando per anni in forma manoscritta. Fu pubblicato la prima volta nel 1558 (in Italia solo nel 1923). All’inizio le novelle dovevano essere 100, divise in 10 giornate.

Michele Anselmi

Nicola Calocero Parli con uno a cui il film di Guadagnino è sembrato un film di Samperi girato da un manierista di Ozon che aspira a Bertolucci. Certi meccanismi e modelli della storia ( l’estate, i primi turbamenti, le canzoni, l’ambiente ricco -alto borghese come microcosmo autoreferenziale ed eletto) che aspirano al romanzo di formazione sono Samperi puro.

Ed Elio legge “solo” la Divina Commedia. Ma magari Oliver ha Fabio Volo sotto il letto.

Questo film a mio avviso tende a ridicolizzare le donne che più o meno appaiono di sguincio. La più ridicola è la mamma.

Il film arriva ansante all’ ultima mezz’ora, non finisce più. E poi la rivelazione telefonica: l’amato è un banale monogamo che si è preso una vacanza e che torna all’ ovile dall’ amata…e il bimbo che piange, e il padre che lo istruisce sulla vita….Maronna do Carmine!

Flavio Fusi

UGO MALASOMA

Film delicato, fotografia luminosa, luoghi incantati ma parecchio citazionista. Ci vedo Bertolucci, ci vedo “il giardino del Finzi Contini”, ci vedo già un certo “manierismo”. E la voglia di titillare un certo pubblico. Ora, che nel 1983 una famiglia ebrea sia già così “liberale” da assecondare le tendenze del figlio diciassettenne mi pare proprio improbabile. E’ come se Guadagnino avesse ritratto un “mondo a parte”, parecchio idilliaco: intellettuale con citazioni coltissime, comprensivo, tollerante, aperto a “tutto”, mai urlato nemmeno quando la ragazza dopo essersi concessa a Elio finisce per stringergli la mano senza tante cerimonie per essere stato deflorata….e tutto questo mondo lo si osserva con curiosità con ammirazione ma senza empatia, come se fosse illustrato benissimo ma in una bella “bolla”. Il mondo vero è fuori? Ho fatto fatica ad entrarci. Alla mia proiezione di applausi neanche l’ombra e molte perplessità….ovviamente per i peana letti qua e là della nostra critica, che si è svegliata pure parecchio tardi. Dove era a Berlino 2017?

*di leporello

Prassitele, chi era costui? Son strani, gli americani… Anche gli italiani, per carità, non dico. Ma cosa gli sia piaciuto agli americani di questo film, io, per capirlo, devo sforzarmi un po’.

E allora, gli spaghetti? Va bene. Le meraviglie naturali del territorio? Ok. L’arte, la cultura? Il nome  della domestica “Mafalda”, che gli suona così esoticamente bene anche grazie alle reminescenze dei fumetti argentini? Le mutande da spiaggia? La lunga disquisizione sulla parola “Albicocca” della quale forse molti americani avranno pensato essere io nome un mafioso degli anni ’60 (tale “Al Bicocca”, come già pensavano di “Al Bano”)? Tutte quelle voci   franco/italo/americano, accentate random in americo/franco/italico, che si mischiano tra loro in una Babele che fa tutt’uno con Sodoma e Gomorra? Quella corporalità ostentata in maniera nauseante, incurante, eccetto solo per i due protagonisti, della mancanza di qualsiasi pur minima capacità attoriale di tutti i suddetti corpi di ogni genere e specie? O forse son state quelle buffe automobili di un tempo, o quei manifesti elettorali vintage del Psi, del Pri, DiccìPiccì che nunteregghepiù?

Non lo so, forse mi sono sforzato troppo. E non ho capito niente lo stesso, nemmeno di chi accidenti fosse Prassitele. E  come avranno  fatto all’Academy (“God solo sait”) ad assorbire il colpo dell’uso  del termine “Prassitele”, se non riservandosi, dopo la proiezione, di scoprire forse qualcosa cercando nell’Enciclopedia Omnia dei Vini da Dessert (sai che delusione, poveri…).

Per carità, l’ignorante sono io. Ma, personalmente, del cinema ho tutta un’altra idea rispetto a quella del noiosissimo Guadagnino

 IL SASSOLINO di Luca BEATRICE

Dubito che nel 1983 a Crema, provincia lombarda ante Lega, ci fosse un’edicola ove trovare “Le Monde”. Ma probabilmente la famiglia Perlman era abbonata., ché leggere i quotidiani italiani non è abbastanza snob per un professore di così larghe vedute in ambito politico-sessuale, e per la sua consorte, che quando non raccoglie albicocche e non ciancia con gli amici sovrintende al pranzo con la cuoca Mafalda -parla solo in dialetto stretto ma è una persona anche lei- e aggiusta il prato con il fattore Anchise -capite, Anchise, il curvo padre di Enea, non Giuseppe, Pietro o Luigi. ‘Sti due genitori progressisti avrebbero un bel problema con la confusione erotica del diciassettenne Elio, cresciuto a edizioni originali tedesche che la mamma gli legge prima di andare a letto. Suona molto bene il pianoforte (ca va sans dire) e ha in camera un poster di Mapplethorpe. Insomma, non è che Elio disdegni il meraviglioso femmineo, almeno fin quando mamma e papà decidono di accogliere Oliver, aitante Big Jim acculturato non è chiaro in cosa, che gli provoca reale turbamento. Poi, come spesso succede, Elio diventa Lolito e il biondo americano ci rimane sotto. La lacrimevole storia d’amore iniziatico assomiglia a tante altre -avviso agli amanti del softcore: non c’è niente da vedere- ma quando il padre del ragazzo “comizio” il ridicolo è davvero in agguato. Dopo che per oltre due ore la vacuità dei dialoghi ha messo a dura prova la pazienza di qualsiasi essere ragionevole. Esaltato per il suo manierato estetismo che nobiliterebbe persino David Hamilton, Chiamami col tuo nome è davvero un brutto film e Guadagnino un regista davvero mediocre.

“Film Tv”, n°9, 27/02/2018

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