Recensioni

Pubblicato il 14 Ottobre 2017 | da Valerio Caprara

2

Ammore e malavita

Ammore e malavita Valerio Caprara
soggetto e sceneggiatura
regia
interpretazioni
emozioni

Sommario: Ex fidanzati si ritrovano contrapposti dalla quotidiana tragicommedia messa in scena dall'odiosamabile Napoli odierna

2.8


Standing ovation alla Mostra del cinema di Venezia per gli autori e il cast di “Ammore e malavita” al termine della proiezione clou. E qui interviene il potere dei media: persino la mano del critico s’arresta a mezz’aria, un po’ intimorita un po’ condizionata ancora prima di scrivere. Come verranno presi, infatti, la sarabanda di allegri stereotipi, il diluvio di spari e ammazzamenti e il profluvio citazionistico di canzoni tra il musical americano e la sceneggiata autoctona che riempiono il film ideato come omaggio alla napoletanità di ieri, oggi e domani? Diciamo subito che –per quanto ci si possa arrabbiare al cospetto del binomio, appunto, d’”ammore e malavita” che sembra ormai inscindibile dalle rappresentazioni della nostra città- è difficile non attribuire ai fratelli re del low budget (ma stavolta l’investimento è stato consistente e la qualità della confezione lo evidenzia) l’intento opposto e cioè quello di prendere in giro il dna del filone partenopeo, frantumarne gli elementi, per così dire, plateali allo scopo di esaltarne quelli buoni, umanistici e solidali. L’operazione funziona quantomeno per larga parte: bravissimi gli interpreti, Buccirosso e Gerini su tutti, e fantastiche le location che sembrano reinventare, anche per merito della fotografia di Francesca Amitrano, le antiche cartoline con gusto postmoderno; un po’ farraginoso, invece, lo sviluppo del plot attorcigliato in troppe volute (specie in vista dei ripetuti finali) nonostante l’ottimo lavoro compiuto sui testi delle canzoni da Nelson.

Il film convince, insomma, tornando alla routine artigianale degli anni Cinquanta e Sessanta con grazia finto-naive e un uso parimenti significativo dei caratteristi e, guarda caso, su questo piano il più efficace è un veterano restituito al culto dei fan con lo stesso spirito di bonaria quanto sincera ammirazione: il maestro Pino Mauro assiso su un trono fitto di “cuorni” rosso fuoco nel bel mezzo di Piazza Plebiscito (ovviamente liberata) è un cammeo da applausi a scena aperta. L’aspetto più simpatico di “Ammore e malavita”, che non mancherà di rallegrare le platee ancora di più di quanto hanno fatto gruppi ad alto tasso derisorio come i Jackal (ma c’è anche una strizzatina d’occhio al meccanismo dello scambio di vip congegnato dal fortunato “Natale con il boss” made-in-De Laurentiis), è, insomma, quello di deridere l’uso e abuso del gomorrismo senza entrare in competizione con i recenti e stranoti successi di cinema e tv. Facendo in modo che anche le imperfezioni non ne ostacolino la cavalcata nei depositi del cinema popolare, l’ottimismo e la freschezza di fondo, gli exploit espressivi (i morti che resuscitano accennando movimenti di danza) e la carica autoironica blandamente controcorrente ma fortemente coinvolgente.

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