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Pubblicato il 22 Marzo 2024 | da Valerio Caprara

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American Fiction: romanzo, Oscar e streaming tv

Candidato a cinque Oscar nonché vincitore di quello per la migliore sceneggiatura non originale, l’outsider “American Fiction” girato da Cord Jefferson con un budget simile a quello che i colossi concorrenti hanno speso per realizzare i titoli di testa, non è uscito in Italia ma è disponibile sulla piattaforma Prime Video. Libera trasposizione del romanzo Cancellazione dello scrittore e professore alla University of Southern California Percival Everett, che sarà fortunatamente in libreria venerdì prossimo edito dalla Nave di Teseo (pp.416, 22 euro), prende coraggiosamente di petto e demolisce le derive della cosiddetta cancel culture: si tratta, in effetti, di un film importante, ancorché molto dialogato e un po’ disomogeneo tra due linee narrative strettamente intersecate, che nonostante i peculiari riferimenti a scenari d’oltreoceano illumina con le armi del sarcasmo un trend sempre più invasivo e molesto nell’intero ecumene occidentale. Basta il prologo, del resto, a introdurre lo spettatore nel clima avvelenato che risucchierà il protagonista -scrittore nero di mezz’età alter ego dell’autore- in un vortice dissennato e devastante ma ricco anche di siparietti esilaranti. Nel corso di una lezione di Thelonious Ellison, soprannominato Monk per l’abbinamento di prammatica al celebre pianista e compositore jazz, una studentessa bianca con i capelli blu legge sulla lavagna “The Artificial Nigger” e subito s’inalbera, contesta e infine abbandona l’aula perché non sopporta di dover guardare “per tutta la lezione una scritta simile”. Non le importa nulla che quello è il titolo di un racconto di Flannery O’Connor (grandissima narratrice del sud americano) e che il docente provi a spiegare come l’innominabile termine (negro) si debba contestualizzare e metabolizzare dal punto di vista storico e letterario, come ci si trovi in un ambito studioso e accademico e come “in definitiva qui siamo tutti adulti”. Però il docente vittima dell’ignoranza (militante) che avanza, interpretato alla grande dall’eterno caratterista Jeffrey Wright finalmente calato in un ruolo di spicco, è anche uno scrittore d’estrazione borghese in crisi disgustato dalle recensioni entusiaste e i cospicui incassi ottenuti dai colleghi confratelli grazie a libri, film e serie tv basati sui più sfacciati stereotipi afroamericani: così, al culmine della misantropia e della frustrazione, sforna di getto sotto pseudonimo “Fuck” (!), un noir di gangster che grugniscono e poliziotti che massacrano, un instant book zeppo di droga, sparatorie, prostituzione e ineluttabili destini criminali. Mentre la sua famiglia si sgretola a causa di vecchiaia e malattie, nessuno s’accorge dell’intrinseca caricatura e la rabbiosa trovata si trasforma inopinatamente in un best seller che fa andare in brodo di giuggiole editor, conduttori tv, registi di film impegnati acchiappaoscar e ogni sorta di cultori di rap, street art, minoranze vessate e report di minoranze proletarie procurandogli in breve soldi, fama e successo. Quasi come quelli che sta accumulando la scrittrice del momento, l’avvenente e coccolata Sintara che non è cresciuta nei ghetti bensì nei college esclusivi, ma “ha dato voce” a un’”autenticità negata” (espressioni che anche da noi non si risparmiano). Da antologia molte battute messe in bocca a neri tanto indignati quanto smaliziati o bianchi radical chic dall’ipocrisia connaturata: “il libro è crudo e vero perché è molto nero”, “la galera corrobora l’arte col pathos della vita reale”, “insomma più faccio lo scemo, più divento ricco”, “leggerti è come guardare dentro una ferita aperta”, “nessuno rimprovera a Bukowski o Ellis di essere raccapriccianti” (con Monk che replica: “ma nessuno pensa che la loro sia l’esperienza bianca definitiva”). Senza svelare tutte le tappe di questo trionfo identitario a rovescio, basterà dire che il massimo dello spassoso paradosso si raggiunge quando Monk, convinto che il razzismo vada superato ignorando la diversità anziché accentuandola voluttuosamente, viene cooptato a furor di popolo nel premio letterario chiamato a giudicare il suo libro di cui gli autorevoli membri credono sia autore un ignoto galeotto ricercato. Sono tanti i motivi di riflessione che nulla tolgono al tono disincantato e all’ingranaggio tragicomico del film, dalle manovre di chi cerca di condizionare i media alla fragilità dell’espiazione identitaria indotta da un opportunismo di facciata e soprattutto al conformismo delle élite intellettuali prostrate al politicamente corretto del momento.           

 

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