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Pubblicato il 28 Settembre 2024 | da Valerio Caprara

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La misura del dubbio*** – Finalement*

Daniel Auteuil, attore di gran classe, s’era già cimentato nel ruolo di regista, ma con “La misura del dubbio” dimostra di essere tutt’altro che un improvvisato del mestiere. Il film dallo stesso anche cosceneggiato e interpretato prende le mosse da una storia vera tratta dalle cronache pubblicate nel suo blog dal penalista (oggi scomparso) del foro di Lille Jean-Yves Moyart, conosciuto con il nome di Maître Mô, successivamente raccolte oltralpe nel best seller Au guet-apens: Chroniques de la justice pénale ordinaire. Nelle accorte tonalità modulate da Auteuil che a 74 anni suonati riesce ancora a perfezionarsi rivive, così, sullo schermo il dramma dell’avvocato quando -dopo avere deciso a causa di un grave abbaglio professionale  di occuparsi solo di piccole cause civili- decide di ributtarsi nella mischia per difendere monsieur Milik (Gadebois, anch’esso eccellente) accusato di avere assassinato la moglie e in stato di fermo presso la Gendarmeria ma della cui innocenza è strenuamente convinto. Naturalmente la suspense, sulla scia dei classici del genere giudiziario, si sviluppa attraverso il processo istruito tre anni più tardi che ne costituisce la base drammaturgica sino al diapason del verdetto e i vari e ben orchestrati flashback, testimonianze e colpi di scena, ognuno dei quali esprime una sfaccettatura della giustizia intesa come recita rituale e soprattutto alternanza di verità contraddittorie in quanto umanamente soggettive. Un dettaglio significativo dell’apporto del regista si nota nella scelta di trasferire il plot originale dal nord dell’Esagono a un paesino del sud laddove, cioè, i diffusi allevamenti di tori e le tradizionali “corse camarghesi” funzionano come allegoria delle Corti di giustizia assimilate ai rustici tornei locali. Le suggestive atmosfere della regione e i frequenti campi lunghi e lunghissimi costituiscono gli opportuni momenti di pausa, le prese d’aria alternative di questa storia in gran parte girata nell’aula del tribunale, nella cella, nel parlatorio, tutti luoghi chiusi in cui la cinepresa è incollata ai volti dei protagonisti. “La misura del dubbio”, tra l’altro, ha il coraggio di accettare l’inevitabile confronto con film autoriali apprezzati e premiati come “Anatomia di una caduta” e  “Saint Omer”, risultando però secondo noi molto più lineare, avvincente e accessibile: non per niente, in riuscito contrasto con le fasi delle indagini e del dibattimento, il finale conciso, nitido e tagliente riesce a trasmettere l’allarmante sensazione simenoniana dell’indecifrabilità dell’animo umano.

Non è facile raccapezzarsi sin dall’inizio in “Finalement”, l’autodefinita fiaba musicale del venerato maestro francese Claude Lelouch (87 anni a breve). Lo spettatore si ritrova, infatti, ad assistere al vagabondaggio di un gentile e arruffato autostoppista su e giù in amene località francesi -da Mont-Saint-Michel ad Avignone- nel cui corso si reinventa ossessivamente presentandosi agli sconosciuti nelle vesti vuoi di prete spretato, vuoi di regista di film porno, vuoi di trombettista, infine di avvocato. Solo al termine di uno di questi episodi tra il rapsodico, il grottesco e il kitsch si comincia a capire che si tratta di fantasie che dovrebbero servire per fuggire da sé stesso, la propria vita e la propria benestante famiglia borghese: il routard (l’ex comico Merad peraltro bravissimo) è un uomo di mezza età affetto da una degenerazione fronto-temporale che lo rende obbligatoriamente sincero e dunque agli occhi del prossimo decisamente fuori di testa. Intanto quando meno te lo aspetti gli interpreti si dilettano a cantare, commentando come in un musical le pantomime che diventano mano a mano sempre più surreali: non a caso il sottotitolo del film recita “Storia di una tromba che s’innamora di un pianoforte” (sic). Aggiungiamo per il buon peso che il sessantenne si chiama Lino Massaro proprio come il protagonista interpretato da Lino Ventura in “L’avventura è l’avventura” (’72) e la sua trepida mamma ha le soavi fattezze della novantunenne Françoise Fabian che amoreggiava con Ventura nel quasi coevo “Una donna e una canaglia”. In definitiva (finalement, appunto) nell’interminabile girotondo di questo film testamentario si mischiano continuamente spezzoni di propri e altrui cult movie (due volte di “La via lattea” di Bunuel quando Massaro incontra i viandanti diretti a Santiago de Compostela e quando dialoga con tredici fricchettoni che sostengono di essere Gesù e i suoi apostoli), coincidenze tra autobiografia e fiction, digressioni, ellissi temporali e citazioni storiche tra cui quella particolarmente spiazzante, ricavata dall’incontro con la scrittrice riconoscibile come Valérie Perrin compagna di Lelouch dal 2006, che rievoca una tragica storia d’inganni ambientata a Parigi nel corso dell’occupazione nazista. Per lo spettatore attirato dagli inestricabili ghirigori simbolici il messaggio è quello della supremazia del versante sentimentale, tollerante e tenero della vita su quello freddo, razionale e utilitaristico, auspicio che può starci anche bene. Però se ricordiamo quando, ai tempi remoti di “Un uomo, una donna”, la nostra generazione di cinefili sfrontati ed estremisti snobbava Lelouch e il lelouchismo, oggi non ci sembra di dovercene vergognare. Sciaba-da-ba-dà, sciaba-da-ba-dà…

 

LA MISURA DEL DUBBIO

DRAMMATICO-GIUDIZIARIO – FRANCIA 2024

Un film di Daniel Auteuil. Con: Daniel Auteuil, Grégory Gadebois, Sidse Babett Knudsen, Alice Belaïdi, Isabelle Candelier, Suliane Brahim

 

FINALEMENT

COMMEDIA MUSICALE – FRANCIA 2024

Un film di Claude Lelouch. Con: Kad Merad, Barbara Pravi, Michel Boujenah, Sandrine Bonnaire, Françoise Fabian, Elsa Zylberstein

 

 

 

 

 

 

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