Pubblicato il 28 Giugno 2023 | da Valerio Caprara
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Sommario: La reale e infelice biografia di Emily Brontë rievocata fondendola con gli eventi familiari e i personaggi del suo unico romanzo, il capolavoro "Cime tempestose".
1.8
Tra i capolavori letterari da sempre più congeniali al cinema, “Cime tempestose” vanta una nutrita serie di trasposizioni: le due versioni più celebri restano quelle del ’39 di Wyler con Olivier e la Oberon e del ’53 del Bunuel messicano, ma in Italia anche lo sceneggiato tv del ‘56 di Landi con Girotti e la Ferrero divenne di culto a furor di audience. Considerando che la tragica storia della famiglia Brontë, entro cui si fusero le biografie reali e la vita fantastica di Charlotte (“Jane Eyre”), Emily (“Cime tempestose”) e Anne (“Agnes Grey”), tramanda uno dei tratti salienti del periodo vittoriano ovvero l’emancipazione femminile manifestata nella larga fama ottenuta, tra le altre romanziere, dalle suddette sorelle, è logico che l’attrice australiana O’Connor abbia sentito la necessità di un aggiornamento in chiave di sensibilità moderna. Purtroppo, però, “Emily” nel suo intento di forzare gli elementi di veemente intensità dell’opera di Emily in un’accondiscendente ottica giovanilistica manca del tutto il bersaglio anche perché quest’ultima prospettiva mal si combina con la musica gonfia di piano e archi che soffoca la narrazione e impedisce all’emozione di esprimersi in profondità e con gli eccessi melodrammatici di tutti gli altri personaggi che fanno sembrare alquanto scontata l’angoscia della protagonista. Quindi fallimento o mezza riuscita? Sicuramente i costumi, le scenografie e soprattutto la fotografia corrusca della brughiera dello Yorkshire sono accurati, ma i personaggi –impantanati in dialoghi continui- compongono un repertorio di stereotipi; in particolare gli uomini che, con l’eccezione del padre reverendo, in mancanza di qualsivoglia sfumatura appaiono tutti ruvidi e scialbi. Si percepisce, certo, che nella ricostruzione della regista spinge la volontà di restituire alle sorelle la dignità umana preesistente al successo toccato ai loro exploit letterari, ma la trovata di trasformare Emily in un profilo da proto-militante femminista non è all’altezza del recondito obiettivo di affiancarsi al cinema estremo della Jane Campion di “Lezioni di piano”, “Ritratto di signora” o “Bright Star”. Anche segnalando la volenterosa prova della Mackey, la passionalità di cui vorrebbe inebriarsi il film non esplode mai davvero e tradisce il mistico panteismo della Brontë, secondo cui la vocazione autodistruttiva delle sue eroine non appartiene all’amore, al sesso, alla morale o allo stato sociale bensì alla violenza selvaggia dei fenomeni naturali e dunque al disegno imperscrutabile del cosmo. Basterebbe per capirlo riguardare il video della sublime “Wuthering Heights” composta e cantata da Kate Bush (Heathcliff, it’s me, I’m Cathy/I’ve come home, I’m so cold/Let me in your window). G. K. Chesterton ha sostenuto che “Cime tempestose avrebbe potuto essere scritto da un’aquila”, questo film invece avrebbero potuto scriverlo la Mazzucco o la Murgia.