Pubblicato il 7 Dicembre 2022 | da Valerio Caprara
0Svegliami a mezzanotte
La Napoli cinematografica in vetrina al Torino Film Festival non si limita a cavalcare l’onda dell’attuale stato di grazia produttivo e creativo. Nello spirito elastico e disinibito (con punte pop) del calendario approntato dal direttore Steve Della Casa non rientrano, infatti, le messe cantate e ieri sera la conferma è venuta dall’affollata anteprima del docufilm “Svegliami a mezzanotte” di Francesco Patierno liberamente tratto dall’omonimo libro di Fuani Marino (ediz. Einaudi 2019). Il pubblico come sempre giovane e competente del festival ha avuto, in effetti, la possibilità di constatare di prima mano come la forza dei film concepiti e girati sotto il Vesuvio risieda nella loro talvolta radicale diversità e che i temi sia pure corroborati dal genius loci svarino su una gamma vasta e complessa di approcci e di stili. La cifra distintiva di Patierno, un regista certo esperto e pluripremiato ma che a volte sembra sottovalutato anziché apprezzato per la naturale duttilità con cui passa dai lungometraggi di finzione alle serie tv, dai documentari agli adattamenti letterari e alle commedie family, si conferma infatti non iscritta ad alcun partito patriottico e invece capace d’intrecciare pertinenti connessioni espressive e visive attorno a una trama mai sociologica e dimostrativa e anzi, come in questo caso, psicologicamente ardita e sottile. Il libro della Marino, che non compete a noi ri-recensire, ha funzionato evidentemente come adeguata matrice per il suo lavoro di ritessitura linguistica della storia tutt’altro che sensazionalistica del tentativo di suicidio a cui nel 2012 sopravvisse miracolosamente l’autrice. Allora trentaduenne, da poco diventata madre e conosciuta e apprezzata negli ambienti artistici e giornalistici napoletani, Fuani non poteva e non può essere tramandata come una frustrata asociale condannata “naturaliter” alla depressione o al disturbo bipolare. Così l’indagine retrospettiva condotta dal regista con la collaborazione dell’autrice anche in voce attraverso un montaggio da manuale delle immagini girate ex novo, quelle di repertorio e una cospicua quantità di materiali eterogenei (foto, filmini di famiglia, diagnosi scandagliate o parafrasate) alternando via via i toni del saggio, della confessione e dell’antologia di citazioni di poeti e scrittori non esibizionistica bensì sentita come necessaria, illumina i frammenti oscuri o segretati della germinale condizione di disagio psichico e nello stesso tempo il difficile percorso di resurrezione intrapreso senza scorciatoie consolatorie e persino con qualche sprazzo autoironico in direzione dell’acquisizione di consapevolezza foriera di una speranza tutt’altro che trionfalistica o convenzionale. Non costituisce, infine, una diminuzione delle forti emozioni destinate sicuramente anche a un pubblico universale, il dato che la coraggiosa protagonista di quest’aspra guerriglia nei meandri della propria mente e di riflesso in quella umana discenda da un noto milieu di giovani e fervidi intellettuali napoletani pre e post sessantottini e che, in particolare, una lunga consuetudine e una forte amicizia abbia legato chi scrive al padre Furio e in seguito anche alla madre Anita (Fuani è del resto la crasi tra il nome del primo e quello della seconda).
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