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Pubblicato il 7 Luglio 2022 | da Valerio Caprara

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LA SCOMPARSA DI J.L. TRINTIGNANT

Altro che uno vale uno. Ci sono attori che valgono più di quasi tutti gli altri e incarnano –per la generazione venuta al mondo nell’immediato dopoguerra- “I migliori anni della nostra vita”. Assomiglia, in effetti, a un’epigrafe il titolo dell’ultimo film girato da Trintignant nel ‘19 per la regia di uno dei suoi mentori, il ‘maniaco sentimentale’ Lelouch grazie a cui Jean-Louis divenne un’icona incancellabile del glamour maschile. Trascurando i diktat del sessualmente corretto si può dire a chiare lettere che il sex appeal dell’attore si è tramandato per sessantacinque anni senza pause, mai brutale o volgare ma nello stesso tempo esplicito e diretto, strumento di una francesità elegante, sinuosa, talvolta persino ambigua eppure dominante nei confronti della folta schiera delle fascinose partner, inequivocabile nel linguaggio del corpo e dello sguardo e dunque irresistibilmente erotico nei momenti travolgenti. Utilizzando la memoria come un nastro scorrevole, sembra quasi –succede solo agli eletti- che sia lui, proprio lui, il ragazzo venuto dall’Occitania nella Parigi iper cinéfila dell’alba dei Cinquanta, a determinare la qualità, il blend, il respiro mitopoietico dei film interpretati e non viceversa. È forse un caso che la notorietà lo colga stordito dalle movenze di BB, lanciata all’esordio come “la donna più scandalosa del mondo” in “Piace a troppi” (storpiatura nostrana del cult “Et Dieu… créa la femme”)? È una coincidenza il fatto che nel cast di “Le relazioni pericolose” del tenebroso Vadim risalti accanto alla Moreau e le altre protagoniste descritte dalla pubblicità come “perfettamente infedeli”? Nel 1962 inaugura allo zenit il costante rapporto con il made in Italy costituendo, in “Il sorpasso” e insieme a Gassman, una delle coppie più strepitose della storia (non solo) della commedia di costume: anche in questo caso non è stato un complotto dell’industria a scolpirlo per sempre nei cuori e le menti del pubblico grazie a “La matriarca”, “Metti una sera a cena”, “La donna della domenica”, “Il deserto dei tartari” “La terrazza”, “Passione d’amore”, “Il mondo nuovo”, “Colpire al cuore” e soprattutto “Il conformista”, scenario di un’interpretazione monumentale iscritta d’ufficio nel pantheon della settima arte.

Nel 1966 gira “Un uomo, una donna”, all’epoca odiatissimo dai cinèfili puri & duri: oggi non ci sono, però, più dubbi sulla chimica di amorosi sensi stabilita da Jean-Louis con Anouk Aimée e non è mai stato giovane (maschio o femmina, of course) chi non ha vissuto lo spasimo esaltante del raggiungere o essere raggiunti sull’onda di un colpo di fulmine guidando a perdifiato accompagnati da una musica ipnotica come quella di Pierre Barouh. Interprete ideale dei film anti-romanzeschi di Robbe-Grillet (“Spostamenti progressivi del piacere”), a suo perfetto agio nelle trappole seduttive allestite da Chabrol (“Le cerbiatte”) e Rohmer (“La mia notte con Maud”), in grado di perforare la rete tessuta sullo schermo dalla bella e perduta Romy Schneider (“Noi due senza domani”, “Il montone infuriato”), Trintignant rivaleggia con il mostro sacro Montand nell’hit del cinema di denuncia “Z – L’orgia del potere”, non deflette dal proprio carisma confrontandosi col grande cinema americano avventuroso-progressista (“Sotto tiro”) e asseconda gli avvincenti ingranaggi di classici del giallo come “Senza movente” o “Flic Story”. Nei ’90 gira il suo primo e unico film con Truffaut (“Finalmente domenica!”) lasciandoci il rimpianto per quello che –stante l’immediata corrispondenza dell’approccio, per dirlo con un gioco di parole, alla verità della finzione- avrebbero potuto realizzare ancora. Acclamato, ancorché costretto all’immersione nella reale condizione di ottuagenario dai tratti devastati, è infine apparso ai molti cultori dello straziante “Amour”. Noi preferiamo ricordare che di fronte alla macchina da presa non cercò mai di mettersi in mostra. E tuttavia vedevamo e vedremo solo lui.   

  

 

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