Pubblicato il 6 Aprile 2021 | da Valerio Caprara
0Speravo de morì prima
Sommario: Le due ultime stagioni da calciatore di Francesco Totti. L'allenatore Spalletti, con l'avallo della proprietà dell'As Roma, gli intenta una sorta di guerra psicologica per indurlo al ritiro senza frapporre ostacoli.
2.5
Era in effetti una partita difficile e per certi versi impossibile, preparata con una strategia brillante e spregiudicata e una tattica basata sull’aggressività e l’imprevedibilità del gioco. Alla fine il risultato è stato ottimo per la classifica e l’incasso, ma, anche a causa di un autogol in sottofinale, negativo sul piano della qualità e del pathos. Un giudizio che, considerando l’alto quoziente di difficoltà, non cancella tuttavia l’onore e il valore della prestazione.
Volendo restare in tema si potrebbe parlare in questi (metaforici) termini della miniserie “Speravo de morì prima”, andata in onda e ora disponibile su Sky Atlantic che l’ha prodotta con Wildside, Capri Entertainment, The New Life Company e Fremantle: raccontando l’ultimo anno e mezzo della carriera di Francesco Totti, il capo del team di sceneggiatori Stefano Bises e il regista Luca Ribuoli hanno cercato il contatto con un pubblico non specializzato o addirittura ostile (basta pensare alle tifoserie laziali e juventine) al personaggio, alla sua storia e al suo habitat familiare e sociale imprimendo alle sei puntate di 40 minuti circa ciascuna un taglio spiazzante, umoristico, pop scandito, pour cause, da una colonna sonora survoltata con un occhio allo stile dei fratelli Coen e un altro alla commedia sordiana e, perché no, felliniana. Il surplus di grottesco era, certo, fondamentale sia per mantenere saldo il legame con la veritiera personalità del campione, sia perché connaturato al mix di cinismo e distacco praticato all’ombra del Campidoglio e il Colosseo nei secoli dei secoli; niente di più arduo, peraltro, del registro che ne scaturisce ora straniante e fuorviante, ora allusivo ora iperrealistico nonché continuamente alternato a quei tormenti introspettivi che hanno marchiato al fuoco di una pressoché universale commozione l’addio di Totti al mestiere di calciatore e al club in cui si è per sempre identificato. Il problema enorme, a questo punto, è costituito dall’azzardo di fare interpretare una figura ancora oggi popolarissima e molto presente nei media da un attore che non solo non gli somiglia affatto, ma ne travisa clamorosamente la fisicità e il glamour: il ventinovenne Pietro Castellitto, per carità, è un bravo attore che sicuramente diventerà un grande attore, ma di fatto col suo profilo alla Pippo Franco, la sua silhouette dinoccolata e la sua andatura strascinata recita come un ventriloquo nel corpo estraneo dell’io narrante.
Effetto stridente e sgradevole anche perché l’interpretazione del cinquantatreenne Tognazzi nel ruolo dell’allenatore Spalletti, a torto o ragione passato alla storia dello sport come persecutore e liquidatore per conto della proprietà dell’ultimo sprazzo di carriera del quarantenne antagonista, è invece eseguita con i modi del più smaccato e anche spassoso ricalco mimetico. Mentre nel mezzo del teatrino, tra i volteggi di regia e i dialoghi sempre in bilico sulla macchietta o l’aneddoto (troppe le frasi a effetto, troppi gli sketch, troppe le battute alla maniera dei fumetti di Zerocalcare) si piazzano la Ilary Blasi di una Greta Scarano in gran spolvero e pregevole equilibrio e la Guerritore e Colangeli bene incarnati nei partecipi genitori del Capitano. La cui sofferenza, sia pure trattata con rispetto da un team creativo certamente solidale, finisce per tradursi in un’ossessiva quanto generica ripetitività, come se si stesse raccontando l’incapacità di un qualunque personaggio di accettare la fine di un’amicizia o di un amore. La mediazione fra il vero e il falso Totti, insomma, secondo noi fallisce perché non sa e non può fare confluire in epica questa sorta d’incontro/scontro tra un bambino che non vuole crescere e un adulto che vuole insegnargli con le urla e gli occhi fuori dalle orbite la dura legge del tempo. Tutto al contrario di come ha lavorato Alex Infascelli per il suo magistrale documentario “Mi chiamo Francesco Totti”, non a caso apprezzato da tutti, esperti o inesperti di calcio, e in ottima posizione nella prossima corsa al David di Donatello per la sua categoria. E tutto al contrario, soprattutto, di quanto succede nel momento dell’addio grazie al succitato autogol: quando, cioè, la cavalcata Sky tra le luci psichedeliche e le strizzatine d’occhio al gossip e le risse da bar sport s’interrompe smontando, in pratica, tutto ciò che si era faticosamente costruito in precedenza perché l’incolpevole protagonista lascia il posto al vero Capitano, alla sua inimitabile presenza e soprattutto alle autentiche immagini dello sconcerto e le lacrime del popolo, il suo popolo convocato al torneo dei sogni perduti della struggente serata dell’Olimpico.
SPERAVO DE MORÌ PRIMA
SERIE TV – ITALIA 2021
Regia di Luca Ribuoli
Con Pietro Castellitto, Greta Scarano, Gian Marco Tognazzi, Monica Guerritore, Giorgio Colangeli, Gabriel Montesi