Recensioni

Pubblicato il 23 Gennaio 2021 | da Valerio Caprara

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The Undoing

The Undoing Valerio Caprara
soggetto e sceneggiatura
regia
interpretazioni
emozioni

Sommario: Manhattan, oggi. Agiata coppia sulla cresta dell'onda sociale si ritrova invischiata nei torbidi risvolti di un caso criminale.

3.5


Dirne malissimo oppure divorarlo in preda a una compulsiva dipendenza. Capita spesso che i thriller ad alto budget e cast stellare producano effetti antitetici, ma non capita mai che questi effetti convivano negli spettatori e persino nei critici come succede nel caso di “The Undoing – Le verità non dette”, la mini serie Hbo creata da David E. Kelley e diretta dalla danese Susanne Bier. Sei episodi che si guadagnano ad honorem il marchio del fatidico “guilty pleasure”, il piacere colpevole, la goduria di cui vergognarsi un po’, il cedimento allo sfizio più disimpegnato che esista… Come già indica il primo avviso da recapitare a coloro che soffrono d’invidia sociale, nota sindrome che in questa trasposizione di un romanzo di Jean H. Korelitz (“Una famiglia felice”, ediz. ital. Piemme) potrebbe trasformarsi in uno sconfinato incubo: i protagonisti sono tutti ricchissimi, elegantissimi, realizzatissimi e, che Iddio li abbia in gloria, anche appartenenti al ceto “boho-chic” dell’Upper East Side di Manhattan (versione Usa dei “bobò” francesi, i bourgeois- bohémien che conciliano conti in banca astronomici con inflessibili principi progressisti). I fattacci, dunque, non possono che svolgersi in ambienti interni ed esterni urbani già di per sé all’altezza e pure impreziositi dalla fotografia del premio Oscar Anthony D. Mantle; a cominciare dall’appartamento in cui vivono l’oncologo pediatrico Jonathan, sua moglie psicoterapeuta di grido e il figlio tredicenne Henry iscritto a un’esclusiva scuola privata, passando per il superattico museale con vista su Central Park del vecchio suocero magnate e finendo con la casa al mare di famiglia, un buen retiro tutto arredi di legno sopraffino, vetrate spettacolari e verande con accesso diretto all’oceano. Certo ci sarebbe anche la trama, declinata con sufficiente perizia e altrettanta furbizia dalla Bier –cineasta da ammirare perché a suo agio sia nel cinema d’autore, sia in quello d’intrattenimento- che si basa sulla classica struttura a puzzle mirata a coinvolgere gli spettatori negli effetti di attrazione/repulsione ruotanti tra le varie pedine in gioco. Ma “The Undoing” proprio su questo tasto picchia forte, ne fa la ragione primaria del suo straripante successo (anche se, punto dolente, le piattaforme non comunicano i dati certificati dell’audience) e conta poco che il turbine di bugie, sospetti, indizi e depistaggi che produrranno l’”undoing”, la rovina o meglio il disfacimento del quadretto familiare, sia innescato dal brutale assassinio di una giovane aspirante artista e torbida avventuriera inseritasi tra lui, lei, un paio di sfortunati scolaretti, un’amica del giro e una coppia di sbirri riciclati sciattamente. Detto fuori dai denti, infatti, la suspense del “Chi ha ucciso Elena Alves?” funziona in modalità autonoma, cioè a prescindere dai difetti di logica e le incongruenze di sceneggiatura che a una parte degli stessi aficionados, come abbiamo premesso, fa saltare inevitabilmente i nervi.

Umberto Ecco scrisse a proposito del romanzo d’appendice che lo si può ignorare, ma non denigrare a vanvera perché “se il gelato è dolce, non puoi dire che è amaro perché sei colto e impegnato”. Appare così giusto, ma non determinante riconoscere che l’intero pacchetto è basato (in senso tutto sommato positivo) sul glamour degli interpreti: Grant, ancorché sottoposto alla spietata legge del tempo, nella parte che gli riesce sempre, quella dell’adorabile figlio di buona mamma impenitente; il suocero Sutherland con il solito patrimonio naturale stampato sulla faccia da bulldog depravato e le falcate da vampiro svolazzante sugli sfondi della metropoli più cinematografica dell’universo e la brava ex punkettona bolognese De Angelis di “Veloce come il vento”, truccata benissimo da dark lady in miniatura al punto da avere già reso di culto le sequenze del nudo frontale esibito per provocare e sfidare la protagonista e il bacio che le dà in segno d’ambigua complicità. Essendone anche la produttrice è logico che la Kidman giganteggi dalla prima all’ultima inquadratura, ma il suo carisma, nonostante i primi piani accomodati dalle fiale di botox, resta intatto, anzi si rilancia grazie al ritorno ai vaporosi riccioli rossi e soprattutto ai costumi curati dalla scatenata costumista Signe Sejilund connazionale della regista. Su questo piano assolutamente congeniale la diva sciorina tra un cliffhanger e l’altro (il “finale sospeso” ovvero l’espediente narrativo della brusca interruzione in corrispondenza di un momento culminante) un autentico catalogo di mise favolose, più o meno calibrato sulle atmosfere e le circostanze della caccia all’assassino, tra cui svettano il vestito da sera plissettato Givenchy indossato in occasione della raccolta fondi organizzata dalla scuola del figlio e la serie di cappotti dai colori azzardati che molto probabilmente starebbero bene solo a lei e la rendono una creatura pressoché ultraterrena visto che li porta senza batter ciglio (e denti) deambulando ai meno diciotto gradi dell’inverno newyorkese.

THE UNDOING – LE VERITÀ NON DETTE

THRILLER – USA 2020 

Regia di Susanne Bier. Con Nicole Kidman, Hugh Grant, Édgar Ramírez, Noah Juper, Lily Rabe, Matilda De Angelis, Ismael Cruz Córdova, Edan Alexander

   

 

 

 

 

 

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