Pubblicato il 30 Settembre 2020 | da Valerio Caprara
0Fellini 23 1/2 di Aldo Tassone
Ottocentosettantadue pagine. Se sulla copertina non spiccasse il titolo Fellini 23 ½ non pochi si darebbero alla fuga: ma, come chiunque ormai percepisce anche se non è un cinefilo militante, questo nome non costituisce un semplice dato anagrafico bensì incarna la didascalia di un mondo a parte, una sigla cabalistica, la porta d’ingresso in una cattedrale barocca in cui le volute di pellicola sostituiscono le statue, i capitelli, i decori. Ed è pertanto una sorpresa relativa quella che colpisce il lettore, pronto a rendersi subito conto di come la monumentale ‘summa’ (sottotitolo Tutti i film, Edizioni Cineteca di Bologna, 2020, Euro 29) rappresenti l’indispensabile ancorché a lungo attesa chiave di volta attorno alla quale ruota un inventario-Fellini, un trattato-Fellini, un glossario-Fellini che non hanno eguali nella pubblicistica cinematografica. Ne è autore Aldo Tassone che non è solo uno dei più autorevoli critici e storici internazionali del cinema, ma soprattutto il cultore indefesso e fedele del genio riminese, l’unico ammesso ad assistere sino dal tempo della propria tesi di laurea alle riprese dei suoi film dal “Satyricon” a “La voce della luna” e capace di progettare e preparare nel corso di una vita –oltre quarant’anni fitti di studi, ricerche, incontri e interviste esclusive col maestro, raccolte di testimonianze di tutti i suoi collaboratori e dei più celebri colleghi- questa vera e propria impresa culturale ed editoriale diventata il suggello ideale delle celebrazioni dell’anno del centenario della nascita.
Se, dunque, l’utilità del libro è fuori discussione, ammesso che parlando di un poeta convenga usare un termine che evoca interessi ordinari, addirittura eccezionale è la piacevolezza della lettura che non costringe al rispetto dell’ordine d’impaginazione e lascia sbizzarrire il lettore in un gioco d’incastri simile a un puzzle sospeso tra ricordo e riflessione: di ogni film, infatti (sono 23 e mezzo, fra lungometraggi e corti, da “Luci del varietà diretto a quattro mani con Lattuada a “La voce della luna”, uscito tre anni prima della morte), si ripercorre la genesi, si analizzano le più minuziose componenti testuali, s’imbastisce un reticolato di note degno di un poliedro di Escher, s’istituisce un puntuale confronto tra le accoglienze critiche italiane, francesi e americane. Con in più il bonus di un’assoluta primizia, la disamina approfondita dei mitici film irrealizzati “Il viaggio di G. Mastorna” e “Viaggio a Tulum”.
Solo per obbedire alle regole dell’obiettività –in questi casi l’ipocrisia cerimoniale non ha necessità di esistere- e magari per sgombrare il campo dal possibile handicap del legame amicale intrattenuto da chi scrive con l’autore sino da certi sabati di fine anni Sessanta al cineforum dell’Istituto Pontano, si potrebbe osservare che nei referti d’ambito nazionale è forse concesso troppo credito alle coazioni a ripetere contenutistiche dei quotidianisti tradizionali –fatto salvo Tullio Kezich, rimpianto maestro di entrambi e tra i pochissimi a cui Tassone concede meritatamente il titolo di fellinologo- e troppo poco alla generazione post sessantottina di cinefili e studiosi portatori di esplorazioni felliniane assai variegate e radicalmente innovative. Ma tant’è, si sarà capito che Aldò –come dagli amici e discepoli viene affettuosamente chiamato Tassone, francesista raffinato e demiurgo insieme alla consorte Francoise Pieri della rassegna France Cinéma (1986-2008)- sfugge brillantemente alle forche caudine dello specialismo criptico-critico ma, al contrario, fa della propria onniscienza il faro messo a disposizione degli spettatori a rischio di smarrimento nel labirinto audiovisivo allestito con sorniona malizia dal Grande Trasfiguratore.