Recensioni

Pubblicato il 15 Maggio 2020 | da Valerio Caprara

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Les Misérables

Basta una scintilla, un’unica, imprevedibile scintilla. Così il fuoco divampa nella banlieue parigina di Montfermeil, dipartimento Seine-Saint-Denis, dilagando impetuoso dentro e fuori gli immensi caseggiati Les Bosquets. Tra Victor Hugo e il suo romanzo e Spike Lee che accese una miccia simile nella Brooklyn di “Fà la cosa giusta” conquista d’ora in poi il suo spazio cruciale uno dei film più trascinanti della storia del cinema di rivolta: “Les Misérables”, poliziesco-verità senza un attimo di tregua dedicato alla rabbia, il dolore, il caos che covano sotto la cenere del disagio societario delle megalopoli, è, infatti, in grado di provocare un’autentica catarsi emotiva e portare a compimento un disegno drammaturgico concluso ma nel contempo aperto a tutte le contraddizioni che rendono impraticabili gli equilibri tra la lotta per la sopravvivenza dei cittadini umiliati, offesi e svantaggiati e gli astratti, remoti o non percepibili principi della Legge. L’autore Ladj Ly, classe 1978, nato da genitori maliani e cresciuto nello stesso quartiere (che poi è anche quello in cui Hugo ambienta gli episodi del romanzo riguardanti la famiglia Thénardier) e fondatore del collettivo di produzione audiovisiva Kourtrajmé, immerge lo spettatore nell’implacabile e impietosa progressione che dettaglia come l’eterno fronteggiarsi –spesso a mano armata- tra poliziotti e residenti ci metta poco o niente per tracimare in una guerriglia di tutti contro tutti. In quest’ambito non è il caso di riepilogare le aspre polemiche seguite ai prestigiosi premi attribuitigli, tranne la doverosa sottolineatura dell’inaccettabile disparità di trattamento riservata dall’intellighenzia d’oltralpe e lo schieramento della cosiddetta “gauche caviar” nel corso della serata dei premi César a Polanski esposto al ludibrio degli intolleranti e, appunto, a Ladj Ly sulla cui condanna a tre anni di carcere per complicità in un caso di sequestro di persona si è disinvoltamente sorvolato.

Allo spettatore interessa solo che, influenzato senza mai dichiararsi cinefilo da svariati autori e titoli (da “Distretto 13: le brigate della morte” a “L’odio”, da “Il braccio violento della legge” a “Training Day” e persino alla suspense dell’attesa in primo piano copyright Sergio Leone), il regista riesca a scolpire con pochi, vividi tocchi ognuno dei personaggi che cercano di conservare il proprio dominio sulla parte d’illegalità concessa o conquistata grazie alla superba credibilità e scioltezza degli attori professionisti, non professionisti e soprattutto bambini o adolescenti. Tre membri della BAC –la brigata anti criminalità- che incarnano tre reazioni diverse all’esperienza, il sangue freddo e l’equilibrio richiesti dai pattugliamenti, i controlli e la repressione dei reati; tre gruppi dall’identità pericolosa –gli spacciatori di droga, gli adepti e gli imam fondamentalisti (l’ex galeotto e salafita Salah assume, per la verità, l’ambiguo ruolo di mediatore ragionevole) e gli imboscati confidenti e fiancheggiatori degli sbirri- che digrignano appena possono in faccia all’establishment “è sempre colpa vostra”; tre momenti tragici nell’arco di una manciata d’ore al cui proposito resterà nei manuali di cinema come il volo del drone di proprietà di un occhialuto ragazzino nero, che ha registrato per caso l’atto odioso commesso per paura da uno dei poliziotti, è parte integrante della trama ma funziona nello stesso tempo come scelta stilistica (le riprese dall’alto della topografia concentrazionaria). Con in più la grottesca partecipazione dei facinorosi gitani del circo ambulante “Zeffirelli” che fanno la loro sporca figura nella fatale deriva dell’apocalisse urbana.

I critici della serie “Gomorra”, che si sono sempre lamentati dell’assenza delle controparti nell’epica dei camorristi, troveranno in quest’incalzante ora e tre quarti di durata ciò che cercavano: peccato che, con abile e astuta strategia, neppure la polizia può fregiarsi delle doti manichee di bontà o cattiveria. Sull’orlo costante del breakdown nervoso (“se non facciamo così, ci mangerebbero”) i tre formidabili attori sono pronti a scambiarsi i ruoli di vittima e carnefice in base alla predisposizione dei caratteri, ad ingaggiare duelli tanto rituali quanto inutili con la gerarchia che si spartisce il controllo dei falansteri popolari, a confessarsi nella superba economia delle sequenze di ripiegamento coscienziale e a sostenere gli shock a ripetizione di un finale a cui si può tributare una standing ovation anche se si è soli nel salotto casalingo.

LES MISERABLES

POLIZIESCO – FRANCIA 2019  *****

Regia di Ladj Ly. Con Alexis Manenti, Djebril Zonga, Issa Perica, Al-Hassan Ly, Almamy Kanouté (dal 18 maggio su svariate piattaforme tv a pagamento)        

     

 

 

 

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