All Movies Magazine

Pubblicato il 26 Giugno 2019 | da Giuseppe Cozzolino

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THE SERIAL LAB: Appunti su BLACK MIRROR (Stagione 5)

LA METAFORA DELL’ABISSO

a cura di Antonio Cataruozzolo

Lo specchio nero dei dispositivi elettronici spenti come smartphone, tablet e tv è stato sin dall’inizio di questo progetto seriale, ideato da Charlie Brooker, la base concettuale più importante, metafora dell’abisso, della perdizione e dell’oblio, in cui si riflette l’esistenza umana del 21° secolo. Nelle prime stagioni la narrazione era fondata sul solo obiettivo di raggiungere questo climax orrido, agghiacciante ed angosciante, mescolando usi e consumi e progetti-concept del nostro tempo ambientati in futuri prossimi.

La quinta stagione di Black Mirror, prodotta da Netflix, è sviluppata su tre episodi, come sempre antologici, in cui si affrontano, in maniera meno distopica rispetto al passato, le classiche tematiche che ruotano intorno la deriva e la deviazione comportamentale e psicologica della società e dell’individuo, sempre derivanti dall’invasività e dall’uso sbagliato delle nuove tecnologie. Il fatto di affrontare questa volta, in buona parte, temi e problematiche che viviamo e subiamo già, e che sono già riproposti in altri prodotti cine-televisivi, ha fatto storcere il naso a tutti coloro che attendevano qualcosa di più esaltante, attraverso un’ambientazione più “futurista”. Gli autori di Netflix hanno scelto di far prevalere il concept dell’attualità sul plot, consapevoli che dobbiamo accettare il fatto di essere arrivati ad un punto in cui il futuro è già arrivato, e che bisogna affrontare i veri problemi ed i veri temi del nostro tempo, come fatto in questa stagione.

Il primo episodio Striking Vipers, ha per tema la sessualità nell’era digitale, o per essere più precisi la scoperta di una nuova forma di esperienza e di identità sessuale attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie digitali. Vista la sua bocciatura quasi unanime da parte della critica sotto il profilo contenutistico, bollata di affrontare una “tematica debole”, al fine di analizzare approfonditamente l’episodio ci soffermeremo maggiormente su di esso descrivendo in parte anche la trama.

Protagonisti sono Danny e Karl, due amici che al college passano diverse serate alla PlayStation, giocando a quello che noi nella vita reale chiameremmo Street Fighter, Tekken o Mortal Kombat, ma che nella serie assume il nome di Striking Vipers.

Passati dieci anni dalla fine del college la narrazione compie un balzo arrivando al giorno del trentottesimo compleanno di Danny, in cui lo ritroviamo a cucinare al barbecue nel suo giardino borghese, sposato con la sua fidanzata storica Theo, ma allo stesso tempo scopriamo un suo tradimento con un’altra donna, amica di famiglia, la quale viene invitata insieme al suo figlio piccolo ed al suo nuovo compagno.  Alla festa si aggiunge a sorpresa il vecchio amico Karl, il quale, notando il bambino, gli chiede se fosse suo, ma Danny dice che il suo è un altro. Questo passaggio non è stato notato praticamente da nessuno, ma ci spiega a chiare lettere la“propensione” di Danny ad avere esperienze extraconiugali. Karl, che invece è rimasto single, passa da una donna bellissima all’altra, vivendo sempre esperienze diverse nello sfarzoso mondo della discografia.

Karl regala all’amico Danny  la nuovissima versione di Striking Vipers X, sviluppata per l’esperienza della VR. La peculiarità di questa versione è che, vestendo in prima persona i panni del personaggio scelto per il combattimento, l’utente connesso potrà sentire ed avvertire tutta l’esperienza sensibile, tattile, epidermica e quindi dolorosa del combattimento.

Finita la festa, Danny e Karl si connettono dalle proprie abitazioni, e si ritrovano all’interno del gioco, dando il via alla loro prima sfida di questo gioco da combattimento corpo a corpo. Alla fine dell’incontro però accade qualcosa di davvero insolito. Il personaggio-avatar di Karl, Pom Klementieff, ovvero Mantis nei film Marvel, bacia quello di Danny, interpretato da Ludi Lin, il Murk di Aquaman. Da questo bacio, inizialmente visto come un assurdità, i due ogni sera si ridanno appuntamento all’interno del gioco ed iniziano una relazione sessuale, e poi anche emotiva, totalmente atipica, stravolgendo la propria vita relazionale e sessuale del mondo reale in favore di quel “surrogato” virtuale. Morale della Favola: l’utilizzo di una certa tecnologia come valvola di sfogo per le proprie insoddisfazioni, ed il superamento di ogni regola e convenzione della “realtà”, può risultare devastante ed il principio di una nuova forma di schiavitu’. Nel videogioco puoi essere chiunque ed avere chiunque.

Il secondo episodio, Smithereens, pone al centro il tema della dipendenza dai social e il risvolto tragico dell’esistenza che ne può scaturire. Forse quello più intenso per la tematica trattata. Il protagonista, Chris (Andrew Scott), a causa di una sua distrazione al volante, per controllare una notifica di una foto postata, provoca un incidente stradale nel quale perde la vita sua moglie. Narrativamente strutturato sulla falsariga del film In Linea con l’Assassino, l’episodio tiene incollati alla poltrona grazie ad un’escalation di colpi di scena ed alla magistrale interpretazione di Scott, personaggio-metafora attraverso il quale si descrive la disumanizzazione delle persone che fanno uso dei social e degli smartphone in generale, sia quelle comuni che degli impiegati della società informatica che gestisce Smithereens, una via di mezzo tra Instagram e Facebook.

Smithereens, in italiano tradotto come In pezzi, verte sul gioco di parole e del suo significato in inglese, che significa letteralmente “in pezzi”, quelli nei quali viene smembrata la propria memoria, la propria identità, fondata su ostentazioni ed esperienze evanescenti, artificiose, finte, indirizzate da algoritmi e da azioni di influenza sociale strutturati all’interno di un sistema che fidelizza, manipola ed orienta determinate scelte di consumo.  Fake news for fake people in a fake world. Cosa siamo, e chi siamo, senza i social?

Il terzo ed ultimo episodio, Rachel, Jack and Ashley Too, è forse quello che più gioca sul distopismo tecnologico, in cui una bambola-robot parlante può essere programmata con la coscienza e la memoria di una persona, in questo caso della cantante star dei teenager, Ashley, interpretata da Miley Cyrus.

I temi affrontati partono dalla difficile condizione esistenziale dell’adolescenza, alla dilaniazione dello spirito da parte di una giovane e famosissima cantante pop, sino al cinismo ed alla mancanza di etica e morale dell’industria dell’entertainment musicale, che, pur di raggiungere l’obiettivo del profitto, non si pone scrupoli nel sedare farmacologicamente la cantante e di estrapolare nuove canzoni grazie ad elettrodi che leggono il suo flusso di pensieri, mettendo in scena il suo ologramma gestito proprio grazie al software che ha registrato la sua coscienza.

Concludendo, questa quinta stagione apre le porte a tematiche e problematiche più vicine al nostro Quotidiano perché, avendo già affrontato buona parte dei possibili futuri distopici, il futuro più pericoloso forse non si è voluto ancora affrontare: quello della nostra estinzione a causa dell’inquinamento industriale.

Con la nostra scienza, la nostra tecnologia digitale, il nostro Io virtuale (o il nostro ipotetico clone) sarà in grado di salvare quello fisico? Ecco un bel concept da sviluppare per la sesta stagione.

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