Pubblicato il 22 Novembre 2018 | da Valerio Caprara
0Il vizio della speranza
Sommario: Nelle lande inquinate e degradate alla foce del Volturno si trafficano neonati partoriti dalle prostitute nere che vi esercitano e vivono in condizioni subumane. La protagonista esegue un sordido compito di traghettatrice agli ordini di un'infame mezzana ma, una volta toccata dalla "grazia" di rimanere essa stessa incinta, decide di portare a termine la gravidanza pur sapendo di rischiare la vita.
1.8
Magari sembrerà un rappezzo, ma viene naturale premettere che l’autore De Angelis e lo sceneggiatore Contarello sono valori solidi nel vacillante panorama del cinema italiano odierno. “Il vizio della speranza”, però, quarto lungometraggio diretto dal primo non è un film riuscito, bensì un progetto di film schiacciato e asfissiato da difetti di non poco conto, primo fra tutti quello del surplus di pretese inversamente proporzionali alla consistenza di ciò che si materializza per un’ora e trentasei minuti sullo schermo. Si può transigere sul riciclaggio dello scenario del litorale domizio che per merito dei Garrone, Risi, Lombardi, Gagliardi e lo stesso De Angelis è diventato così risaputo e familiare da correre il rischio d’assomigliare a un set cinematografico fisso: in fondo anche i western riuscivano a trasmettere valori epici riproponendo all’infinito il topos della cittadina con l’ufficio dello sceriffo, il barber shop e il saloon. Il guaio è che in questo caso siamo ben lontani dal pragmatismo del cinema di consumo, qui si punta in alto, si sottolineano tematiche universali, si esibiscono simbolismi in serie, s’inseguono afflati spirituali con retrogusto laico e infine, contraddicendo il compiacimento miserabilista e patetico dell’intero svolgimento, si cerca di risarcire sia i protagonisti, sia gli spettatori fornendogli il bonus delle spiegazioni più o meno convincenti e delle giustificazioni dei cattivissimi che forse potrebbero essere buonissimi.
Dunque la giovane Maria, cinica guerriera incappucciata che grazie alla prova ad alta intensità di Pina Turco segna uno dei punti a favore del film, gestisce il traffico delle prostitute nere costrette a vendere i figli che hanno ancora in grembo. Chiaramente il pittbull che si porta sempre appresso è un compagno ben più affidabile della madre alienata (Donadio) e della mezzana schiavista (Confalone), ma il compito di traghettare le clienti come un Caronte indegno sulle acque superinquinate del Volturno ne fa un’anima morta al pari di tutte quelle che sopravvivono insieme a lei in un groviglio di sordide baracche, pantani infestati da animalacci e piramidi variopinte d’immondezza che sembrano a un certo punto allestite a bella posta dallo scenografo e dall’operatore in combutta poeticista col regista. Le battute del dialogo, intanto, cercano di sistemarsi sulla stessa lunghezza d’onda delle martellanti musiche di Enzo Avitabile, ma appena la parabola evangelico-etnica comincia a ingranare arrivano svolazzi come quello del cavallo trotterellante in ralenti sul bagnasciuga che ne minano il già fumoso senso: il calvario con vista sulla Grazia della protagonista Maria (ma per i duri di comprendonio ci sono anche Virgin e Fatima) non è, in effetti, privo di suggestioni perché il film è tenuto in piedi dalla tecnica; ma, sempre per colpa della ridondanza allegorica, non solo al presunto vizio della speranza (definito peraltro “una stronzata” da una battuta dell’impareggiabile Confalone), ma anche allo scoop finale sembra non crederci prima di tutti proprio il regista.
IL VIZIO DELLA SPERANZA
DRAMMATICO – ITALIA 2018
Regia di Edoardo De Angelis. Con: Pina Turco, Massimiliano Rossi, Marina Confalone, Cristina Donadio