Pubblicato il 10 Novembre 2018 | da Valerio Caprara
07 sconosciuti a El Royale
Sommario: Alla fine degli anni Sessanta alcuni strani personaggi arrivano in ordine sparso in un hotel decaduto situato nei pressi del lago Tahoe: nel passato, sappiamo grazie al prologo, proprio lì è stato commesso un omicidio ed è stato sotterrato un bottino. Inizia a dipanarsi, così, un complicato intrigo che andrà ben oltre la caccia a un filmato compromettente in grado di fare esplodere uno scandalo clamoroso...
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Amato da moltissimi e detestato da qualcuno, Quentin Tarantino ha il suo pregio più grande nel generare schiere d’imitatori senza permettere a nessuno d’assomigliargli veramente. Sembrerebbe molto facile, infatti, attingere alle sue inclinazioni e al suo linguaggio, ma poi il più delle volte i registi si ritrovano in mano soltanto il catalogo dei suoi tic più esteriori. La Festa del cinema di Roma si è appena inaugurata con “7 sconosciuti a El Royale” in cui l’autore, l’americano Goddard che aveva esordito dopo ottime prove da sceneggiatore con l’horror del 2012 “Quella casa nel bosco”, non tenta neppure di camuffare il suo fervido omaggio al marchio del maestro: ci si trova, infatti, alle prese con un torvo neo-noir a più voci e più piani che non smette mai di alternare le acmi feroci al virtuosismo compositivo e agli scarti imbizzarriti nell’onirico e il surreale. Il motore del prolungato e compiaciuto labirinto (sono due ore e venti non proprio fluenti) non si colloca, come sembra all’inizio, nell’ambito della spy-story perché ciò che stimola il deus ex machina non è un genere preciso, bensì il profluvio di citazioni scenografiche e musicali (la colonna sonora è firmata dall’esperto Michael Giacchino) nonché l’accumulo dei riferimenti storici –dalla sporca guerra del Vietnam all’FBI diretta dal famigerato E: J. Hoover o alle imprese criminali delle sette alla “Satana” Manson- che alla fine consegnano al tramortito spettatore una sorta di Cluedo da giocare anziché sul tavolo sull’intera superficie dello schermo. Per fare un esempio, che peraltro fa pensare che Goddard non si sia limitato a ispirarsi a “Le iene” o “The Hateful Eight” ma anche a “Rashomon” e “10 piccoli indiani”, tra i cartelli che scandiscono il susseguirsi dei capitoletti ci sono anche quelli che introducono una sequenza già vista però ripresa da una prospettiva diversa.
Siamo alla fine degli anni Sessanta quando assistiamo all’arrivo dei primi personaggi nell’hotel ex lussuoso situato nei pressi del lago Tahoe che costituisce il fulcro dei misteri disseminati nella sceneggiatura: nel passato, sappiamo già dal prologo, proprio lì è stato commesso un omicidio ed è stato sotterrato il malloppo. Svolgendo il conseguente intrigo in cui acquista un ruolo cruciale il finto commesso viaggiatore, “7 sconosciuti a El Royale” cerca di raccontare nello stile del cinema da camera -che qualcuno potrebbe prosaicamente definire claustrofobico- la caccia a una bobina di contenuto sessuale in grado di fare esplodere uno scandalo clamoroso: ma mentre si deve riconoscere al regista un’insolita accuratezza formale, in gran parte dovuta alla scelta di girare in pellicola anziché in digitale propizia agli effetti psichedelici della fotografia di Seamus McGarvey, la sostanziale pretensione del tutto (non mancano la denuncia del moderno vizio del voyeurismo e la sindrome dello spionaggio globale) finisce per sfociare in un’eccessiva e dannosa dilatazione del ritmo. Da un cast così ricco e prestigioso, infine, c’era da aspettarsi una spinta più decisa: se, infatti, il muscoloso Hemsworth si prende in giro benissimo e Cynthia Erivo giganteggia nel ruolo della cantante soul, gli altri big non sempre recitano all’altezza del proprio rinomato curriculum.
7 SCONOSCIUTI A EL ROYALE
Noir, USA 2018
Regia di Drew Goddard. Con: Chris Hemsworth, Jeff Bridges, Dakota Johnson, Jon Hamm